CORTE COSTITUZIONALE Sentenza n. 560 , 11 – 19 maggio 1988
nei giudizi promossi con ricorsi delle Regioni Liguria e Lombardia notificati il 20 aprile 1984, depositati in Cancelleria il 27 e il 28 aprile successivi ed iscritti ai nn. 7 e 8 del registro ricorsi 1984, per conflitti di attribuzione sorti a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 10 febbraio 1984, recante: «Indirizzo e coordinamento dell’attività amministrativa delle Regioni in materia di requisiti minimi di strutturazione, di dotazione strumentale e di qualificazione funzionale del personale dei presidi che erogano prestazioni di diagnostica di laboratorio».
DIRITTO
1. – I giudizi sui ricorsi per conflitto di attribuzione della Regione Liguria e della Regione Lombardia, in quanto hanno per oggetto il medesimo atto, e presentano questioni in parte identiche, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
2. – Oggetto dell’impugnazione è il decreto 10 febbraio 1984, emesso dal Presidente del Consiglio dei ministri, d’intesa con il Ministro della sanità e su delega del Consiglio dei ministri, recante «Indirizzo e coordinamento dell’attività amministrativa delle Regioni in materia di requisiti di strutturazione di dotazione strumentale e di qualificazione funzionale del personale dei presidi che eseguono prestazioni di diagnostica di laboratorio». E tale decreto è emanato in riferimento all’art. 25, comma settimo, della legge sulla riforma sanitaria 23 dicembre 1978, n. 833, che prevede la formulazione ai sensi dell’art. 5 della stessa legge, vale a dire in via di coordinamento, di uno schema-tipo idoneo a definire i requisiti minimi di strutturazione, (di) dotazione strumentale, e (di) qualificazione funzionale del personale dei presidi e delle strutture sanitarie (pubblici e privati convenzionati) che forniscono «prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio».
3. – Secondo la ricorrente Regione Liguria, la delega stessa al Presidente del Consiglio dei ministri per l’emanazione dell’atto di coordinamento impugnato sarebbe in contrasto con la disciplina del coordinamento contenuta nell’art. 5 della legge n. 833 del 1978, perché non conferita in relazione a un «affare particolare».
Secondo entrambe le Regioni ricorrenti l’atto impugnato avrebbe esorbitato dal potere di coordinamento come conferito con l’art. 25 della legge n. 833 del 1978 in quanto, anziché limitarsi a individuare mediante uno schema-tipo i requisiti strutturali minimi dei presidi di laboratorio, avrebbe regolato l’intera organizzazione dei presidi, vale a dire una materia più ampia e un oggetto diverso da quelli previsti dalla norma attributiva, cosi violando il principio di legalità richiamato dalla sentenza di questa Corte n. 150 del 1982 e invadendo la competenza regionale in tema di organizzazione dei servizi sanitari.
L’atto impugnato sarebbe ancor più gravemente in contrasto con il principio di legalità come delineato dalla detta sentenza, perché non conterrebbe l’indicazione di criteri, idonei per un verso a individuare l’oggetto e a segnare i limiti del potere di coordinamento esercitato, e per altro verso a orientare, senza sopprimerla, l’autonomia regionale, con la conseguenza che determinerebbe esso stesso l’oggetto e i limiti del potere esercitato, e comunque, non lascerebbe spazio alcuno alla detta autonomia.
Sotto questo secondo profilo l’atto impugnato sarebbe addirittura privo di quel «supporto legislativo ulteriore» (rispetto alle norme generali in materia di coordinamento) richiesto dalla sentenza n. 150 del 1982 di questa Corte per l’osservanza del principio di legalità, perché a fornire tale supporto non sarebbe idoneo l’art. 25 della legge n. 833 del 1978, per il fatto di non contenere esso stesso criteri come quelli suindicati.
Che anzi, se la mancata indicazione dei detti criteri nell’atto impugnato dovesse ritenersi causata o autorizzata dall’art. 5 o dall’art. 25 della legge n. 833 del 1978, dovrebbe inferirsene l’illegittimità costituzionale di tali norme in riferimento all’art. 117 Cost., essendo la prefissione dei criteri in discorso requisito (minimo) di legittimità delle nome che prevedono ipotesi di coordinamento in via governativa secondo la logica della sentenza n. 150 del 1982, tesa a giustificare l’incidenza del coordinamento governativo sulla legislazione regionale.
Ciò sempre che non si ritenga di ripensare l’intera materia al fine di escludere la configurabilità di un indirizzo e coordinamento governativo avente tale incidenza.
4. – Invertendo l’ordine dell’esposizione delle censure (che è più fedele a quello in cui esse sono formulate) va anzitutto osservato che non vi sono ragioni sufficienti per ritenere che l’indirizzo e coordinamento statale sia radicalmente incompatibile con la garanzia costituzionale dell’autonomia regionale – neppure quando, anziché con legge, abbia luogo in via governativa – in ragione dell’incidenza spiegata sulla legislazione regionale (con inversione, in tal caso, anche della gerarchia delle fonti).
Come risulta dalle disposizioni legislative che io prevedono (cfr. art. 17, comma primo, lett. a), legge 16 maggio 1970, n. 181; art. 5 d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 1; art. 3, legge 22 luglio 1975, n. 382, e, in materia sanitaria, art. 5, legge 23 dicembre 1978, n. 833) l’indirizzo e coordinamento è preordinato al perseguimento di esigenze unitarie (art.5 Cost.) rispetto all’amministrazione regionale (per il perseguimento di tali esigenze rispetto alla legislazione regionale soccorrono altri istituti) e, nel caso che esso abbia luogo mediante attività governativa, si avvale di uno strumento, il cui impiego è ragionevolmente giustificato dalle caratteristiche, che tale attività presenta, di prontezza decisionale e di particolare attitudine coordinatrice rispetto all’attività amministrativa.
Ora, se l’indirizzo e coordinamento concerne direttamente soltanto l’attività regionale amministrativa, la temuta incidenza di esso sull’attività regionale legislativa non può essere che indiretta. Vale a dire che alla legge regionale si richiede di non vanificare le esigenze unitarie espresse con l’indirizzo e coordinamento, ma essa è altrimenti in tutto libera, e può anche sopperire alle dette esigenze unitarie mediante misure proprie che siano (singolarmente o nel complesso) equivalenti a quelle dettate in via di indirizzo e di coordinarnento (le quali ultime, d’altronde, anche se non sono istituzionalmente destinate a cadere per effetto automatico della legislazione regionale di dettaglio qualunque sia il contenuto di questa – in quanto ciò comporterebbe eludere la finalità dell’indirizzo e coordinamento – sono destinate a operare solo fino a quando tale finalità è raggiunta o divenuta irraggiungibile). Considerazioni, le presenti, che, in una con l’osservanza, postulata da questa Corte in tema di indirizzo e coordinamento in via governativa, del principio di legalità, nel senso della necessaria ricorrenza di una norma di legge costituente l’apposito fondamento del potere di indirizzo e coordinamento e la specifica investitura dell’autorità cui esso è conferito, fugano l’avanzato sospetto di radicale incompatibilità costituzionale (anche sotto il profilo di una ingiustificata inversione della gerarchia delle fonti).
Va allora stabilito se, in astratto, la norma di legge attributiva del potere debba racchiudere, e in concreto la norma attributiva di cui si tratta (art. 25 della legge n. 833 del 1978) racchiuda, elementi precettivi – criteri generali – idonei a vincolare l’autorità governativa attributaria del potere e l’esercizio di questo, si da consentire l’efficienza dell’indirizzo e del coordinamento rispetto alla amministrazione regionale e in pari tempo da escludere l’arbitrio della autorità stessa e la compressione, oltre quanto è strettamente necessario in relazione alle esigenze unitarie, della stessa autonomia regionale
Ora, pur rispondendosi positivamente al primo quesito (in conformità del resto con l’indirizzo espresso dalla sentenza di questa Corte n. 150 del 1982), occorre precisare che l’indagine postulata dal secondo va condotta con specifico riguardo alla materia di volta in volta considerata, e cioè alla forza che le esigenze unitarie possono in essa presentare e al tipo di criteri che la materia stessa comporta o esige.
Nel caso, da un lato le esigenze unitarie si riportano a quelle radicate nei precetti costituzionali di cui agli artt. 3 e 32 Cost., vale a dire a quelle concernenti la garanzia di eguale assistenza sanitaria per tutti i cittadini nel territorio della Repubblica, esigenze espresse con particolare energia e ripetuta insistenza dalla disciplina della riforma sanitaria (che proprio da ciò trae, nelle disposizioni di principio e in buona parte delle disposizioni di dettaglio che contiene, il titolo di riforma economico-sociale); dall’altro la materia presenta natura spiccatamente tecnica. Tutto ciò determina la individuabilità immediata dei criteri generali richiesti, nella norma di cui si tratta, in quelli che, allo stato attuale delle scienze mediche e biologiche, sono idonei ad assicurare la massima efficienza, compatibile con l’uniformità dell’assistenza sanitaria nel settore (cfr., per analoga visuale in tema di estensione dei poteri conferiti con deleghe legislative o con decreti delegati all’impiego di criteri tecnici, le sentenze nn. 3 del 1971 e 127 del 1981). Deve pertanto concludersi che la norma non è costituzionalmente illegittima nè inidonea a servire da «ulteriore supporto legislativo» alla previsione di un indirizzo e coordinamento governativo e che l’atto impugnato non lede, sotto questo profilo, l’autonomia regionale.
Rimane da verificare se ricorra violazione, da parte del provvedimento di delega, della regola, enunciata dall’art. 5 della legge n. 833 del 1978, che la delega può essere conferita solo in relazione a un affare particolare, o se l’atto impugnato abbia esorbitato dal potere di indirizzo e coordinamento conferito con l’art. 25 della stessa legge, per avere regolato oggetti diversi da quelli in relazione ai quali il potere appare conferito.
Quanto al primo di questi due ultimi punti, deve senz’altro rispondersi che non ricorre la dedotta violazione di legge da parte del provvedimento di delega (e quindi non ricorre vizio di investitura in capo al Presidente del Consiglio delegato e, di riflesso, invasione dell’autonomia regionale da parte dell’atto impugnato) perché l’oggetto della delega (determinazione dei requisiti strutturali minimi dei presidi di diagnostica strumentale di laboratorio) può considerarsi un affare particolare nei sensi suindicati.
Quanto al secondo punto, l’esame di esso importa, prima di una dettagliata verifica delle disposizioni dell’atto impugnato, ulteriori precisazioni.
5. – Si è detto che l’atto di indirizzo e coordinamento è censurato perché sarebbe andato oltre l’oggetto cosi come delimitato dalla norma di legge che lo prevede e dalla delega conferita, e perché conterrebbe precetti cosi dettagliati da non lasciare spazio alcuno alla autonomia della Regione.
L’atto in questione è volto alla determinazione di «requisiti minimi di strutturazione, di dotazione strumentale e di qualificazione funzionale dei presidi che erogano prestazioni di diagnostica di laboratorio», secondo la previsione dell’art. 25 della legge di riforma sanitaria (cosi come modificato dall’art. 3 del d.l. n. 678 del 1981, convertito, con modificazioni, nella legge n. 12 del 1982).
Trattandosi di atto di (indirizzo e) coordinamento non mediante legge, è certamente richiesta una verifica del rispetto delle norme di legge che fondano il potere di coordinamento. Ed anzi, trattandosi di un atto emanato in base a delega da parte del Governo, la verifica deve essere particolarmente rigorosa ed investire, oltre il rispetto della legge, anche quello della delega (se a sua volta conforme alla legge).
Ciò posto, va premesso che i poteri di coordinamento conferiti dalla legge e cosi dalla delega, che è aderente alla prima, concernono requisiti minimi dei presidi (che erogano prestazioni di diagnostica) di laboratorio attinenti alla strutturazione, dotazione strumentale, qualificazione funzionale del personale di essi.
Si tratta di requisiti attinenti agli elementi strutturali, sia materiali che personali, dei detti presidi, vale a dire ad elementi e caratteristiche delle strutture dei medesimi. Fra tali elementi devono ritenersi compresi quelli che attengono alle competenze, che sono elementi strutturali, e quelli che concernono i controlli di affidabilità dei risultati delle analisi, controlli che, in quanto attengono alla predisposizione di strumenti idonei a verificare l’attitudine delle strutture, sono strettamente connessi alla predisposizione di queste.
6. – Alla stregua di quanto ora precisato, non appare in contrasto nè con la legge nè con la delega – giacché rientra nell’oggetto delle medesime – la definizione, contenuta negli artt. da 1 a 3 dell’atto impugnato, dei presidi diagnostici di laboratorio, l’individuazione dei laboratori di analisi cliniche, la classificazione dei laboratori privati aperti al pubblico (e la loro suddivisione in laboratori generali di base, in laboratori specializzati nell’effettuazione di esami ad alto livello tecnologico e professionale in dati settori e in laboratori generali di base con settori specializzati), la elencazione, sotto forma di allegato, degli esami diagnostici di alto livello tecnico professionale riservati ai laboratori specializzati.
Tali definizioni, classificazioni ed elencazione sono infatti strumentali alla prevista determinazione di requisiti minimi, determinazione che postula l’esatta individuazione dei compiti delle strutture in discorso.
Egualmente devono ritenersi legittime, e quindi non invasive, le prescrizioni del primo e del secondo comma dell’art.7, dovendo intendersi il richiesto rispetto dei criteri generali circa la suddivisione del lavoro secondo le competenze professionali, circa l’attuazione di sistemi di valutazione di gruppo dell’efficienza dei servizi, e circa l’organizzazione di attività di aggiornamento professionale e di collegamento consultivo con altri servizi ed in genere con il settore della medicina generale pediatrica e specialistica, come attinente all’organizzazione delle strutture.
Analogamente deve ritenersi per la trasmissione delle informazioni prevista dal comma terzo dell’art. 7 (che sono strumentali al collegamento consultivo di cui al comma secondo), e per la trasmissione alle Regioni delle notizie di cui all’art. 10 (salve quelle relative al controllo di qualità per le quali v. infra).
Rientrano nell’oggetto come sopra indicato le prescrizioni concernenti l’organico minimo dei laboratori generali e specializzati contenute nell’art. 8, giacché tali prescrizioni determinano requisiti minimi di strutturazione con riguardo all’elemento personale.
Ed, analogamente deve essere escluso un eccesso rispetto all’oggetto della legge e della delega nella previsione della figura e dei compiti del direttore (art. 9), rientrando ciò ancora nella determinazione dei requisiti minimi di strutturazione con riguardo all’elemento personale. Le prescrizioni contenute nel medesimo art. 9, relativamente ai tempi di conservazione dei preparati e dei risultati, si connettono, d’altra parte ai controlli di qualità la cui preordinazione, come è stato accennato all’inizio, è strettamente connessa alla predisposizione delle strutture.
Deve, per quanto ora ripetuto, ritenersi compresa nell’oggetto come sopra indicato la previsione, con l’art. 1 dell’atto impugnato, delle modalità di verifica di affidabilità e di qualità, trattandosi, come è stato detto, di strumenti e di procedimenti attinenti al controllo dell’idoneità delle strutture ai compiti ad esse demandati.
Conseguentemente non appaiono in violazione delle competenze regionali i controlli di qualità configurati dagli artt.13 (sistemi di controllo, appunto), 14 (controlli di qualità interlaboratorio). 15 (controlli interlaboratorio), 16 (competenze regionali in questa materia), 10 (trasmissione alle Regioni di notizie sul controllo di qualità). Rientrando la disciplina dei controlli di qualità nell’oggetto del potere come sopra definito non può, in particolare, esser censurata la norma che prevede l’elaborazione di protocolli standardizzati a cura dell’Istituto superiore della Sanità e del Consiglio nazionale delle ricerche (art. 15, ultimo comma). A più forte ragione (anche perché opera solo all’interno dell’organizzazione dello Stato) non può essere censurata la norma che prevede l’istituzione di una commissione tecnico-consultiva, da affiancare all’Istituto superiore della Sanità ed al Consiglio nazionale delle ricerche (art. 16, ultimo comma), trattandosi, ancora, di disciplina strumentale rispetto a quella dei controlli di qualità.
Del pari deve ritenersi compresa nell’oggetto, come sopra indicato, la previsione, da parte dell’art. 18, quarto comma, in collegamento con le norme ora menzionata, relativa all’adozione di uniformi programmi di controlli intra ed interlaboratorio.
7. – Deve, invece, ritenersi non compresa nell’oggetto sia della legge che della delega la previsione dell’art. 3, penultimo comma, dei d.P.C.M. impugnato, nella parte in cui attribuisce al Ministro della Sanità il potere di procedere a verifiche periodiche degli elenchi ed a variazioni nei settori specializzati. Non sussistono, infatti, ragioni interpretative per ritenere che la delega, di cui al preambolo dell’atto, conferita al Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro della sanità , abbia compreso anche la facoltà di attribuire, in via di sub-delega, un potere permanente nella materia al Ministro della sanità.
E’ evidentemente, poi, fuori dell’oggetto della legge e della delega la previsione dell’art. 12, che concerne la disciplina del prelievo e le sue modalità; tale disciplina attiene, infatti, alla metodologia delle prestazioni di analisi e quindi al funzionamento e non alle strutture.
Del pari è fuori dell’oggetto della legge e della delega la previsione, da parte dell’art. 17, di una commissione consultiva con i compiti: 1) di esprimere pareri per il rilascio o la conferma dei decreti di autorizzazione; 2) di formulare proposte in ordine ai parametri per rapportare le strutture al carico di lavoro; 3) di fornire (al legislatore regionale) indicazioni circa le strutture idonee a realizzare i controlli di qualità; 4) di mantenere rapporti con la Commissione tecnico-consultiva statale.
E’ evidente l’estraneità all’oggetto suindicato della materia cui si riferiscono i compiti di cui ai punti 1, 2 e 4.
Per quel che concerne il punto 3, l’estraneità si desume da ciò, che l’indirizzo e coordinamento, secondo quanto osservato all’inizio, è istituzionalmente destinato a incidere direttamente sulle attività amministrative della Regione, non già sulla competenza regionale legislativa, come pretende di fare la norma impugnata, la quale, lungi dal limitarsi a riconoscere, come fa l’art. 16, la detta competenza, provvede, mediante la prescrizione del parere dell’organo consultivo, addirittura a regolarla, determinando modalità del procedimento legislativo regionale.
In relazione a quanto considerato risultano fuori dell’oggetto della legge e della delega l’art. 4, primo comma, e l’art. 8, ultimo comma, nella parte in cui, lungi dal limitarsi a riconoscere una competenza regionale amministrativa per quel che riguarda materie non comprese nell’oggetto della delega, vale a dire, nel primo caso, il rapportamento tra carico di lavoro ed elementi materiali (locali, archivi e simili) e, nel secondo, il rapportamento fra carico di lavoro ed elementi personali (organici), pretendono, mediante la prescrizione del parere di una Commissione consultiva, di regolare la materia stessa.
Eccede, infine, dall’oggetto come sopra indicato quanto dispone il primo comma dell’art. 18 con riguardo alla distribuzione dei laboratori sul territorio ed ai criteri di economicità ai quali tale distribuzione dovrebbe uniformarsi.
Ciò in quanto per un verso si tratta di materia diversa dalla determinazione della struttura intrinseca dei laboratori, per altro verso la disposizione pretende di incidere sul potere programmatorio o addirittura legislativo della Regione.
8. – Vanamente la Regione deduce l’invasività dell’atto impugnato rispetto alla propria competenza a causa della specificità dei precetti con esso dettati.
La formulazione di uno «schema-tipo», ai sensi dell’art. 25 della legge n. 833 del 1978, non può concretarsi, invero, senza una precisa indicazione di requisiti, conforme d’altra parte alla finalità stessa del potere conferito che è, come già osservato all’inizio, quella di garantire, secondo l’ispirazione della riforma sanitaria (artt. 4, 5, 25, legge n. 833 del 1978; cfr. sent. n. 245/1984; nn. 177, 294/1986; n. 64/1987), condizioni e prestazioni uniformi a tutti i cittadini per la tutela del bene fondamentale della salute.
Quanto detto vale in particolare, oltre che per gli artt. 3,7,9,10,12,13,14,15,16, anche per l’art. 4, che determina il numero minimo dei locali occorrenti, per l’art. 5, che elenca i tipi ed il numero delle attrezzature richieste per i laboratori di analisi generali, per l’art. 6, che contiene analoghe prescrizioni per i laboratori specializzati, e per l’art. 8, che contiene precise indicazioni sul numero e sulla qualificazione delle persone addette.
Trattasi, peraltro, di prescrizioni, come tutte quelle dell’atto impugnato, pur sempre minimali, e quindi, salva l’adozione di misure equivalenti ad opera della legge regionale, comunque derogabili da più rigorosi precetti ad opera della legge regionale stessa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara che non spetta allo Stato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 10 febbraio 1984, d’intesa con il Ministro della sanità, in base a delega data in base all’art. 5 cpv. della legge 23 dicembre 1978, n. 833, subdelegare, ai sensi dell’art. 3, commi penultimo ed ultimo, del detto decreto, al Ministro della sanità la verifica periodica degli elenchi degli esami diagnostici di alto livello professionale da eseguire presso i laboratori specializzati o presso i laboratori generali di base con settori specializzati, nonché l’effettuazione di aggiunte e/o variazioni ai settori specializzati di cui al quarto comma dello stesso art. 3; determinare, ai sensi dell’art. 12 del detto decreto i procedimenti da seguire nelle operazioni di prelievo, di trasporto e di conservazione dei campioni e reperti biologici; prevedere, ai sensi dell’art. 17 del detto decreto, una Commissione consultiva regionale con compiti di esprimere pareri per il rilascio o la conferma dei decreti di autorizzazione, formulare proposte in ordine ai parametri per rapportare le strutture al carico di lavoro, fornire indicazioni circa le strutture idonee a realizzare i controlli di qualità, mantenere rapporti con la Commissione tecnico-consultiva statale; prevedere, ai sensi degli artt. 4, primo comma, e 8, ultimo comma, del detto decreto, un parere di questa Commissione consultiva regionale per il rapportamento al carico di lavoro delle strutture materiali e degli organici; regolamentare, ai sensi dell’art. 18, primo comma, del detto decreto, la normativa regionale concernente la distribuzione dei laboratori sul territorio e la conferma delle autorizzazioni;
Per l’effetto, annulla:
l’art. 3, penultimo ed ultimo comma, del d.P.C.M. 10 febbraio 1984, recante «Indirizzo e coordinamento dell’attività amministrativa delle Regioni in materia di requisiti minimi di strutturazione, di dotazione strumentale e di qualificazione funzionale del personale dei presidi che eseguono prestazioni di diagnostica di laboratorio»;
l’art. 4, primo comma, nella parte in cui rinvia alle «modalità previste dall’art. 8, ultimo comma»;
l’art. 8, ultimo comma, nella parte in cui richiede sia udito l’organo tecnico-consultivo di cui al successivo art. 17»;
l’art. 12, l’art. 17, l’art. 18, primo comma;
Rigetta, per il resto, i proposti ricorsi.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, l’ 11 maggio 1988.
Il Presidente: SAIA
Il redattore: CORASANITI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 19 maggio 1988.