Decisione sul ricorso n. 1222/84 proposto dall’Ordine nazionale dei Biologi, in persona del suo legale rappresentante rappresentato e difeso dall’avv. G. BARONE con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A. Clarizia, in Roma, via Principessa Clotilde n. 2 contro la Presidenza del consiglio dei Ministri, in persona del Presidente p.t., n.c.
DECISIONE
sul ricorso n. 1222/84 proposto dall’Ordine nazionale dei Biologi, in persona del suo legale rappresentante rappresentato e difeso dall’avv. G. BARONE con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A. Clarizia, in Roma, via Principessa Clotilde n. 2 contro la Presidenza del consiglio dei Ministri, in persona del Presidente p.t., n.c.
CONTRO
Ministero della Sanità, n.c. e nei confronti del Consiglio Nazionale dei Chimici e dell’Ordine dei dottori chimici del Lazio, Umbria, Abruzzi e Molise, n.c.
PER L’ANNULLAMENTO
del provvedimento del Presidente del Cons. dei Ministri, del 10.2.1984 col quale sono stati determinati i requisiti minimi di strutturazione, dotazione strumentale e qualificazione funzionale del personale dei presidi di diagnostica di laboratorio;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie prodotte dalla parte a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti della causa;
Udita alla pubblica udienza del 1° luglio 1985 la relazione del Consigliere Dedi Rulli e uditi, altresì,
l’avv. G. Barone per l’ordine ricorrente.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con atto notificato il 12, 17, 24 aprile e 9 maggio 1984, l’ordine nazionale dei biologi ha impugnato il Decreto del Presidente del consiglio dei Ministri del 10 febbraio 1984 con il quale venivano dettate norme di indirizzo e coordinamento dell’attività amministrativa delle Regioni in materia di requisiti dei presidi che erogano prestazioni di diagnostica di laboratorio.
Si deducono i seguenti motivi di ricorso:
1. “violazione dell’art. 25 – comma 7 della legge n. 833 del 1978” per la parte in cui i laboratori privati sono assimilati alle strutture pubbliche e private convenzionate (art. 1).
2. “violazione dell’art. 3 della L. 24.5.1967 n. 396 eccesso di potere” per la parte in cui si impone al biologo – direttore – una specializzazione o la libera docenza, requisiti non previsti dalla legge 396 del 1967 e per la parte in cui si prevede la necessaria presenza di un laureato in medicina.
3. “eccesso di potere per ingiustizia manifesta, illogicità – Lesione del potere organizzativo del libero professionista” poiché manca l’indicazione di un rapporto tra il carico di lavoro e l’organico di personale
minimo previsto nel decreto impugnato.
4. “violazione dell’ art.3 della legge 24.5.1967 n. 396” per la prevista esclusione del biologo dalla direzione di un laboratorio specializzato in citoistopatologia.
5. “eccesso di potere per disparità di trattamento ed ingiustizia manifesta” per la parte in cui non è prevista per i laureati in chimica – direttori di laboratori di analisi chimico-cliniche e tossicologiche, la specializzazione richiesta per i biologi.
6. “violazione di legge. Irrazionalità. Disparità di trattamento. Assenza di motivazione” per la previsione relativa alla impossibilità per i laboratori privati, di accettare campioni provenienti da altri laboratori, limitazione – questa non prevista per gli altri tipi di laboratori.
7. “violazione del principio di legalità e del giusto procedimento” poiché le sanzioni previste per l’inadempimento alle disposizioni del decreto non possano essere contenute in un atto amministrativo, ma devono essere disciplinate da norme primarie. Ne è dato ricavare l’organo competente a porre in essere i provvedimenti sanzionatori disciplinati dall’art. 18.
Conclude – quindi l’ordine ricorrente chiedendo l’annullamento del decreto impugnato.
Non risulta costituita l’amministrazione intimata.
Alla pubblica udienza del 10 luglio 1985, udito il difensore dell’ordine ricorrente, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso, volto a contestare la validità dell’intero decreto impugnato, l’Ordine ricorrente denuncia la violazione dell’art. 25 7° comma – della legge n. 833 del 1978, che non consentirebbe l’estensione della normativa introdotta dal decreto stesso anche alle strutture private, operata con gli artt. 1 e 2.
La doglianza non può essere condivisa.
Giova, invero premettere che nel sistema di riforma sanitaria introdotto dalla legge n. 833 del 1978, le strutture pubbliche e quelle private sono considerate su un piano di completa equivalenza, in quanto entrambe concorrono, ad uguale titolo, a costituire il servizio sanitario nazionale.
Ed è alla luce di siffatto fondamentale principio per il profilo che qui interessa, che devono essere lette le disposizioni della normativa del 1978, tra le quali vengono principalmente in rilievo, gli artt. 5 e 43.
Il primo attribuisce allo Stato le funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative delle regioni in materia sanitaria per esigenze di carattere unitario.
Il secondo demanda alla legge regionale, ferma la funzione di indirizzo dell’art. 5, la definizione delle caratteristiche funzionali alle quali le istituzioni sanitarie di carattere privato devono corrispondere, onde assicurare livelli di prestazioni non inferiori a quelle erogate dai presidi e servizi delle unità sanitarie locali.
In tale quadro normativo il decreto impugnato – emesso ai sensi del ricordato art. 5 – deve ritenersi immune dal vizio prospettato ben potendo l’Amministrazione parificare le strutture private a quelle convenzionate ai fini della determinazione dei requisiti minimi di ristrutturazione, dotazione strumentale e qualificazione professionale del personale, e ciò per assicurarne caratteristiche uniformi per tutto il territorio nazionale.
2. Il secondo motivo di ricorso, articolato su più profili, si appunta specialmente nei confronti di quelle norme del decreto (in particolare l’art. 8) che limitano le possibilità del biologo nella direzione dei laboratori di analisi.
Denuncia, in primo luogo, il ricorrente l’illegittimità della predetta disposizione per la parte in cui richiede – per il biologo – la specializzazione o la libera docenza in una delle banche attinenti al laboratorio di analisi.
La doglianza deve essere condivisa.
Giova, qui, richiamare l’art. 3 della legge 24.5.1967 n. 396 che abilita il biologo a dirigere un gabinetto di analisi, senza prescrivere alcun altro requisito oltre l’iscrizione all’albo professionale.
La prescrizione introdotta con il decreto in esame, – che certamente è atto amministrativo (di rango inferiore agli atti di normazione primaria) – si pone, quindi, in contrasto con la disciplina legislativa del 1967 e con il principio della piena equiparazione tra il titolo di biologo e quello di medico, ai fini della attività di analisi biologica.
Deve, invece, dichiararsi inammissibile l’ulteriore profilo della doglianza in esame che denuncia la illegittimità della norma in parola, per la parte in cui prevede la necessaria presenza di un laureato in medicina e chirurgia, qualora il direttore dei laboratori sia un biologo.
Invero nessuna lesione (sia economica che professionale) della posizione giuridica dei biologi consegue dalla norma stessa per cui dal suo eventuale annullamento i medesimi non otterrebbero alcun vantaggio.
3. Non può poi condividersi la successiva doglianza che censura quella parte dello stesso art. 8 che prevede l’organico minimo del personale dei laboratori.
Ed invero va osservato che se il criterio del collegamento tra carico del lavoro e dotazione di personale appare corretto per quei laboratori di più ampie dimensioni – così come esattamente previsto dallo stesso art. 8 ultimo comma – tale principio non può tuttavia trovare applicazione per ciò che concerne la dotazione minima di personale. Infatti, in tale ipotesi, il criterio del giusto equilibrio tra costi e benefici (invocato dall’ordine ricorrente a sostegno del motivo in esame) deve lasciar spazio al preminente interesse pubblico volto ad assicurare le migliori condizioni tecnico-igieniche e funzionali dei presidi di diagnostica dei laboratori con caratteristiche uniformi per tutto il territorio nazionale.
La previsione in esame risponde, quindi al diverso e più incisivo fine di efficienza e funzionalità delle strutture in questione, le quali devono garantire all’utente livelli di prestazioni non inferiori a quelle erogate dai presidi pubblici.
In tale prospettiva privo di rilevanza deve ritenersi il riferimento al “potere” del professionista di organizzare come vuole la propria attività potere che – come affermato nel ricorso – può ben trovare limitazioni per il perseguimento dell’interesse pubblico.
4. E’ invece da condividere il quarto motivo di ricorso che si rivolge avverso la disposizione dell’art. 18 (recte: art. 8) (terzo comma, punto c) che escluderebbe i biologi dalla direzione dei laboratori specializzati in citoistopatologia.
E’ sufficiente qui richiamare le osservazioni svolte circa la natura di atto amministrativo del decreto impugnato al fine di evidenziare la violazione dell’art. 3 della legge n. 396 del 1967 che non pone alcuna preclusione per il biologo ad operare analisi istologiche.
5. La fondatezza della censura relativa a quella parte dell’art. 8 che richiede, per i biologi, la specializzazione (o altro titolo equipollente) assorbe la doglianza con la quale si contesta la circostanza che per i chimici-direttori tale ulteriore requisito non sia richiesto.
6. Appaiono, poi, da condividere i profili di illegittimità prospettati avverso le previsioni dell’art. 12 – quinto comma del provvedimento in questione, il quale dispone che il laboratorio privato non può accettare campioni provenienti da altri laboratori o altri operatori sanitari.
Si è già avuto modo di ricordare che il provvedimento stesso trova il suo fondamento negli artt. 5 e 25 – 7° comma – della L. n. 833/78 i quali definiscono il potere di disciplinare i requisiti minimi dei presidi sanitari per ciò che attiene alla strutturazione, dotazioni strumentali e qualificazione funzionale del personale. E’ evidente, quindi, che la disposizione censurata esorbita dalla previsione legislativa contenuta nella riforma sanitaria, cosicché la stessa appare emessa senza una base normativa ed in ogni caso in contrasto con l’art. 25 – 7° comma della citata legge del 1978.
Le considerazioni esposte esonerano il collegio dall’esame dell’altra doglianza contenuta nel motivo stesso, circa una asserita disparità di trattamento dei laboratori privati rispetto agli altri laboratori (pubblici e convenzionali).
7. Appare, infine, fondato l’ultimo motivo di ricorso con cui il ricorrente denuncia la illegittimità dell’art. 18 del decreto impugnato per la parte in cui disciplina le ipotesi di sospensione dell’attività e di revoca dell’autorizzazione, per il mancato adeguamento a tutti i requisiti previsti dal decreto stesso.
E’ sufficiente, sul punto, ricordare che la sospensione dell’attività di un laboratorio di analisi e la revoca dell’autorizzazione sono, ad oggi, ancora disciplinate dagli artt. 193 e segg. del T.U. delle leggi sanitarie (R.D. 27 luglio 1934 n. 1265).
La disposizione qui contestata introducendo ulteriori ipotesi di sospensione e di definitiva chiusura di laboratori di analisi, si pone in contrasto con una previsione legislativa, certamente non modificabile attraverso un atto amministrativo.
Devesi aggiungere che la disciplina prima ricordata è altresì richiamata dalla stessa legge n. 833 del 1978 (art. 43) la quale precisa che: “fino alla emanazione della legge regionale di cui al primo comma dell’articolo stesso, … rimangono in vigore gli artt. 194 e segg. del testo unico delle leggi sanitarie …”.
8. Per tutte le considerazioni svolte il ricorso va accolto per la parte relativa agli artt. 8, comma 1°, n. 1, comma 3° punto c); art. 12, quinto comma; art. 18 – terzo comma che vanno di conseguenza annullati.
Per l’ulteriore parte il gravame deve essere respinto.
Le spese e gli onorari del giudizio possono, tuttavia, essere compensati.
P.Q.M.
Il tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sez. 1° – accoglie in parte il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla l’art. 8 – comma 1 – n. 1, comma 3° punto c), l’art. 12 – quinto comma e l’art. 18 – terzo comma del decreto impugnato; per l’ulteriore parte respinge il ricorso stesso.
Compensa, tra le parti, le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 10 luglio 1985 dal T.A.R. del Lazio – Sez. 1° – in camera di consiglio con l’intervento dei magistrati:
Domenico La Medica, Presidente;
Paolo Numerico, Consigliere;
Dedi Rulli, Consigliere estensore.