Ormai da giorni impazza sulla rete e non solo il famoso “diktat” dell’Unione Europea all’Italia sull’uso del latte in polvere per la produzione di formaggi, che vorrebbe abrogata la Legge nazionale n. 138 del 1974.
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
In un’interrogazione parlamentare datata 17 gennaio 2015 si sostiene che “… le aziende produttrici di Yogurt (per la cui produzione il latte concentrato è un ingrediente essenziale) in Italia, sono quindi, obbligate a trasportare una quantità di latte maggiore di quella di cui avrebbero bisogno perché, a causa della citata legge (la n. 138 del 1974), non possono operare il processo di concentrazione all’origine e poi trasportare il prodotto negli stabilimenti.
Questa normativa crea un ingente danno economico e competitivo alle aziende, essendo un ostacolo all’ottimizzazione dei costi logistici e ad una maggiore efficienza del processo produttivo. Inoltre, in base ai principi di libera circolazione nel mercato interno, si viene a creare una situazione di disparità rispetto ad altri paesi europei, come ad esempio Belgio e Francia, che possono utilizzare latte concentrato per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari.
Può la Commissione far sapere se ritiene che la permanenza in vigore in Italia della legge 11 aprile 1974 n. 138 e il recepimento della direttiva 2007/61/CE siano in linea con il diritto dell’Unione europea?”
Ma cosa sostiene la Legge n. 138 del 1974.
“Nuove norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l’alimentazione umana”.
Articolo 1
E’ vietato detenere, vendere, porre in vendita o mettere altrimenti in commercio o cedere a qualsiasi titolo o utilizzare:
a) latte fresco destinato al consumo alimentare diretto o alla preparazione di prodotti caseari al quale sia stato aggiunto latte in polvere o altri latti conservati con qualunque trattamento chimico o comunque concentrati;
b) latte liquido destinato al consumo alimentare diretto o alla preparazione di prodotti caseari ottenuto, anche parzialmente, con latte in polvere o con altri latti conservati con qualunque trattamento chimico o comunque concentrati;
c) prodotti caseari preparati con i prodotti di cui alle lettere a) e b) o derivati comunque da latte in polvere.
E’ altresì vietato detenere latte in polvere negli stabilimenti o depositi, e nei locali annessi o comunque intercomunicanti, nei quali si detengono o si lavorano latti destinati al consumo alimentare diretto o prodotti caseari.
Per garantire il rispetto dei Trattati la Commissione Europea possiede una serie di strumenti, uno dei quali è l’apertura di una procedura di infrazione nel confronti di quello Stato Membro che si sia reso inadempiente. Esercitando un potere “discrezionale” anche sulla base di denuncie di privati, può procedere inviando una “lettera di messa in mora”. Se lo Stato Membro non risponde o non fornisce risposte convincenti la violazione contestata si cristallizza e si “diffida” lo Stato a porvi rimedio entro un termine stabilito.
E’ vero che la circolazione delle merci è un elemento fondamentale per le politiche dell’Unione Europea ed è vero anche che la Commissione, sulla base del principio della libera concorrenza, chiede all’Italia di eliminare la legge.
Ovviamente questo non vuol dire certamente che prodotti con specifici disciplinari di produzione (mozzarella di bufala, e quant’altro) siano a rischio, né tantomeno meno che non si potranno produrre più formaggi con latte fresco. Ricordiamo a tale proposito che l’Italia vanta un patrimonio caseario che affonda le sue radici in un passato di cultura e tradizioni. Dubito che si voglia produrre un Grana Padano, solo per citare un esempio ma se ne potrebbero fare tantissimi altri, con latte in polvere!
In altre parole si parla di offrire ai consumatori “un’ampia scelta di prodotti permettendo loro di fare acquisti individuando la miglior offerta per loro disponibile”: e questo può andare bene. Si parla di “buon funzionamento del mercato interno per una prospera economia globalizzata”: e anche questo può andare bene.
Si parla, dal punto di vista giuridico, del “principio della libera circolazione delle merci”: e pure questo concetto va bene.
Si parla di “legislazione armonizzata”: ed ovviamente anche quest’aspetto va bene.
Ma adesso vi voglio offrire un nuovo spunto di riflessione, che esula dai dibattiti sul pro e contro e dalla logica del mercato e delle produzioni: logica che molto spesso poco ha a che fare con le tradizioni e le armonie dei sapori che accompagnano i nostri prodotti e le nostre pietanze.
Spesso i consumatori sono ignari, male informati o poco o per niente informati e “manipolati” da pubblicità che sempre più cerca di creare dei ingannevoli bisogni nutrizionali.
Sempre più frequentemente i consumatori non sanno cosa realmente comprano! Con la globalizzazione poi molto è cambiato nei processi produttivi, molte le tecnologie che tenendo conto di tempi e temperature hanno elaborato metodi sempre più all’avanguardia con l’obiettivo di migliorare la sicurezza e di massimizzare le produzioni.
La globalizzazione è scambio, è conoscenza, è crescita e miglioramento, ma lo sono altrettanto la tipizzazione e la caratterizzazione.
E’ vero che molto può essere esportato, ma non tutto! Si rischia altrimenti di perdere il contatto con la realtà e con ciò che ci circonda. Ed è quello che purtroppo in alcuni ambienti sta già succedendo, un esempio di ciò lo sono sicuramente i bambini che non sanno com’è fatto un pollo “vivo” o che pensano che una bistecca nasca tale e quale! I consumatori devono sapere che il formaggio si ottiene dal latte, da un buon latte: che l’ambiente, il luogo, la provenienza e persino il metodo di allevamento influiscono sul gusto e sulle proprietà di quell’alimento. Che ad esempio solo alcuni tipi di erbette brucate e rinfrescate dai venti umidi portati dal mare potranno dare un certo tipo di ricotta, e che quel tipo di ricotta potrà essere gustato in quel luogo, con quei profumi e in quel contesto. E che quei profumi e quei sapori rimarranno scolpiti come un ricordo indelebile nella nostra memoria, come ci dicevamo con una cara collega qualche giorno fa.
Chi compra per spendere a tutti costi il meno possibile, acquistando al ribasso, spesso lo fa a discapito della qualità! Un buon vino si otterrà da ottime uve, da buone annate, e il clima e il terreno interverranno sempre a creare nuovi aromi e note diverse ed ovviamente ciò ha un prezzo. In conclusione si può asserire che bisogna insegnare ai consumatori che omologazione non è necessariamente sinonimo di qualità e di buon gusto, ma allo stesso tempo questi prodotti non vanno demonizzati in quanto soddisfano una buona fetta di consumatori. Però bisogna anche saper apprezzare e tutelare le diversità locali, quelle tipiche, che hanno reso famoso in tutto il mondo il “made in Italy” da tanti invidiato e imitato.
Dr.ssa Elga Baviera
Componente della Commissione permanente di Studio dell’ONB “Igiene, Sicurezza e Qualità”
Esperta in Sicurezza degli Alimenti
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