Dal I luglio 2017 le Amministrazioni Pubbliche, come definite dall’art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, saranno soggette al meccanismo della “scissione dei pagamenti” (meglio noto come “Split payment”) che prevede il versamento dell’IVA sull’acquisto di beni o servizi direttamente all’Erario e non più al fornitore. In altre parole, all’arrivo di una fattura i destinatari della norma dovranno pagare l’importo della merce o della prestazione al fornitore, come di consueto avviene, però sottraendo l’importo dell’IVA indicata in fattura versandola direttamente all’Erario.
Il sistema in verità era già stato introdotto nel 2015, con la legge 190 del 2014, per alcuni soggetti. Oggi, il decreto-Legge 24 aprile 2017, n. 50 (cosiddetta “Manovrina”), approvato in via definitiva lo scorso 15 giugno, lo estende ulteriormente coinvolgendo anche, per esempio, gli ordini professionali e i loro iscritti.
In verità non tutti gli Ordini si considerano destinatari di questa norma e ognuno avanza proprie ipotesi a supporto dell’esclusione o dell’inclusione nella lista degli obbligati ad attivare lo “split payment”.
E così, come spesso accade, la confusione regna sovrana. Già perché oltre al problema dei “nuovi” destinatari del provvedimento, si aggiunge il fatto che nella medesima “Manovrina” era previsto fosse emanato, entro il 23 maggio 2017, un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze che avrebbe dovuto stabilire le “modalità di attuazione” dello split payment.
Ad oggi però il decreto non è stato ancora emanato, così come non si ha traccia della circolare interpretativa dell’Agenzia delle Entrate che lo avrebbe dovuto seguire.
Insomma, tra pochi giorni cambierà il sistema di fatturazione verso le pubbliche amministrazioni, ma chi dovrà farlo e come non è ancora chiaro.
L’introduzione dello “split payment” e il riferimento all’art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009 ha infatti acceso il dibattito interno al mondo degli Ordini professionali e dei loro iscritti che sono sul piede di guerra.
Da un lato Ordini e Collegi saranno probabilmente gravati da ulteriori procedure amministrative che andranno ad incidere pesantemente sulla funzionalità soprattutto degli Albi periferici, peraltro senza grande vantaggio per l’Erario (circa 35 milioni di € di incassi nel 2017 e 70 milioni nel 2018); dall’altro lato i liberi professionisti che lavorano prevalentemente od in modo non occasionale per la Pubblica Amministrazione, non riceveranno più tutto l’importo indicato in fattura ma la differenza fra detto importo diminuito dell’IVA, che sarà pagata all’Erario direttamente dalla Pubblica Amministrazione, con l’effetto di portare i professionisti sempre a credito d’IVA, con un forte drenaggio di liquidità.
“Oltre il danno la beffa”, dicono gli ordini professionali, che in questi giorni stanno approfondendo il tema e, contestualmente, onde evitare eventuali, future sanzioni, sono costretti ad emanare note informative e circolari per rendere edotti della novità e delle nuove procedure da seguire i loro referenti territoriali.
Il Comitato Unitario delle Professioni (CUP) aveva già espresso la propria contrarietà alla norma introdotta dall’art. 1 del decreto-legge 50/2017 sostenendo, in sede di audizione parlamentare, che “l’esclusione dall’applicazione di tale meccanismo, all’epoca della sua introduzione (I gennaio 2015), era infatti giustificata dal fatto che i professionisti e, più in generale, i titolari di reddito di lavoro autonomo erano già soggetti a ritenuta alla fonte all’atto dell’incasso delle fatture da loro emesse nei confronti della pubblica amministrazione, dal che la trattenuta, sulla medesima fattura, anche dell’Iva era considerata una duplicazione non necessaria per soddisfare le esigenze di contrasto all’evasione fiscale che hanno ispirato l’introduzione di tale meccanismo”.
Per ora però, in attesa degli atti esplicativi del Mef e dell’Agenzia delle Entrate e ferma restando la possibilità di futuri ricorsi, pare proprio che i professionisti dovranno, loro malgrado, adeguarsi allo split payment.
“L’effetto di questa nuova disposizione sui liberi professionisti è devastante”, ha detto il Presidente del Collegio degli Agrotecnici, Roberto Orlandi, spiegando che “… per ogni 1.000 euro fatturati ad una PP.AA. da un professionista, a quest’ultimo ne resteranno disponibili solo 463,00 €, sui quali poi deve ancora essere pagata la contribuzione previdenziale alla propria Cassa di previdenza e la tassazione IRPEF individuale secondo lo scaglione di reddito (che alla fine riducono, nella migliore delle ipotesi, la cifra che resta al professionista sotto i 220,00 euro, rispetto ai 1.000 iniziali…)”.
La soluzione al problema non è immediata. Certamente è questa però una nuova occasione per stimolare una approfondita riflessione all’interno dei vari Ordini e collegi rispetto alla propria natura “bivalente”, come la definì il Prof. Capotosti, divisa cioè tra la conformazione come veri e propri enti pubblici e la natura di organizzazioni o associazioni appartenenti all’ordinamento giuridico generale.