Dopo vent’anni di speranze, divieti, promesse e controversie, le cellule staminali dell’embrione umano stanno rimodellando i concetti biologici e stanno finalmente iniziando a entrare nella pratica clinica
di David Cyranoski / Nature
Nel 1998, quando i ricercatori hanno iniziato a studiare come ricavare cellule staminali embrionali umane, Dieter Egli stava per iniziare la scuola di specializzazione. Nei due decenni successivi, queste prolifiche cellule sono state un appuntamento fisso della sua carriera. Il biologo, ora alla Columbia University, le ha usate per esplorare come il DNA delle cellule adulte possa essere riprogrammato in uno stato embrionale, e per affrontare le questioni relative allo sviluppo e alla terapia del diabete. Ha anche contribuito a sviluppare una forma completamente nuova di cellule staminali embrionali umane che potrebbe semplificare gli studi sull’attività dei diversi geni umani.
L’ampio raggio delle sue ricerche l’hanno fatto diventare un caposcuola nella biologia delle cellule staminali embrionali, un settore messo alla prova da finanziamenti limitati e dall’entusiasmo per tecnologie concorrenti che non sollevano gli stesso problemi etici. Tuttavia, molti affermano che le cellule staminali embrionali umane sono oggi più rilevanti che mai. “Sono molto entusiasta delle cellule staminali embrionali”, dice Egli. “Porteranno a scoperte senza precedenti che trasformeranno la vita. Non ho dubbi.”
La rivoluzione delle staminali embrionali umane
Le staminali embrionali (SE) forniscono informazioni impareggiabili sullo sviluppo precoce. Come gli astronomi che guardano al big bang per raggiungere una comprensione fondamentale dell’universo, i biologi si concentrano sulle molecole all’interno di queste particolari entità per trarre indizi su come una singola cellula originaria si trasformi in miliardi di cellule, con una vertiginosa gamma di forme e funzioni.
Gli scienziati hanno imparato a trasformare queste cellule in decine di tipi di cellule mature che rappresentano i vari tessuti e organi del corpo. Sono usate per testare i farmaci, per modellare la malattia e, sempre più, come terapie iniettive nell’organismo.
A partire da un tentativo di riparare le lesioni del midollo spinale nel 2010, in oltre una dozzina di studi clinici sono state create cellule da cellule ES per curare, tra l’altro, il morbo di Parkinson e il diabete. I primi risultati suggeriscono che alcuni approcci stanno funzionando: un rapporto atteso da tempo ha mostrato di recente un miglioramento in due persone con degenerazione maculare senile, una malattia che distrugge progressivamente la vista.
“Per certi versi, non è una sorpresa, perché 20 anni fa ce l’aspettavamo – dice Egli – ma sono ancora stupito che questa promessa stia diventando realtà”.
Inizi incerti
Era il 1981 quando i ricercatori riuscirono per la prima volta a coltivare cellule staminali da embrioni di topo. Il potenziale di ricerca di queste affascinanti entità, che possono sia replicarsi sia essere indotte a diventare uno qualsiasi degli oltre 200 tipi di cellule del corpo, fu presto riconosciuto, ma la procedura non era facile da realizzare nei primati. Al biologo James Thomson, dell’Università del Wisconsin a Madison, ci vollero altri 14 anni per realizzarlo nelle scimmie, nel 1995. Tre anni dopo, usando embrioni donati per trattamenti di fertilità che erano rimasti inutilizzati, Thomson fece centro di nuovo, creando la prima linea al mondo di cellule ES umane.
La scoperta scatenò una tempesta di fuoco etico. I critici, provenienti per lo più da ambienti religiosi, sostenevano che gli embrioni costituiscono esseri umani e volevano impedire qualsiasi ricerca che li distruggesse. Nel 2001 il presidente degli Stati Uniti George W. Bush limitò i finanziamenti federali alla ricerca alle poche linee di cellule staminali europee già esistenti. La decisione costrinse coloro che intendevano condurre la ricerca negli Stati Uniti a cercare finanziamenti privati o statali, e spesso a duplicare i laboratori, uno per la ricerca sulle cellule ES e l’altro per i lavori finanziati dal governo federale degli Stati Uniti. In altri paesi, tra cui la Germania e l’Italia, la creazione delle cellule fu vietata del tutto.
Tuttavia, dove era possibile, la ricerca andò avanti. I ricercatori attivi in Australia, Singapore, Israele, Canada e Stati Uniti, e altri paesi, riferirono ben presto di aver convertito le cellule staminali embrionali in neuroni, cellule immunitarie e cellule cardiache contrattili.
Furono discussi anche progetti per ricavare cellule staminali da embrioni realizzati con un processo chiamato trasferimento nucleare da cellule somatiche – lo stesso metodo usato per creare animali clonati come la pecora Dolly – in cui il nucleo da una cellula donatrice adulta viene trasferito in una cellula uovo umana da cui è stato rimosso nucleo.
La logica di questa “clonazione terapeutica” era quella di fornire una fonte illimitata di cellule dinamiche con lo stesso DNA del donatore. Si iniziò a parlare di studiare in vitro malattie genetiche complesse e di sostituire gli organi e i tessuti danneggiati allo stesso modo in cui un meccanico sostituisce con pezzi di ricambio parti delle automobili.
Ci furono diversi falsi inizi, in particolare nel 2005, quando si scoprì che lo scienziato sud-coreano Woo Suk Hwang aveva fraudolentemente affermato di avere isolato le cellule staminali in questo modo. Ma entro il 2013, un team guidato da Shoukhrat Mitalipov, ricercatore sulle cellule staminali alla Oregon Health and Science University a Portland, finalmente ci riuscì.
Durante i primi 15 anni, tuttavia, molta ricerca sulle cellule ES si è concentrata sull’uso delle cellule per comprendere la pluripotenza, la sorprendente capacità di diventare qualsiasi tipo di cellula. A poco a poco, gli scienziati hanno ricostruito i percorsi molecolari che la rendono possibile. “Abbiamo imparato la pluripotenza dalle cellule ES”, dice Mitalipov.
La rivoluzione delle staminali embrionali umane
Queste ricerche hanno contribuito alla più grande innovazione nella medicina rigenerativa e nella ricerca biologica degli anni Duemila: la scoperta delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPS).
Nel 2006, Shinya Yamanaka, della Kyoto University, studiò come riportare le cellule adulte di topo allo stato embrionale usando solo quattro fattori genetici. L’anno successivo, lui e Thomson raggiunsero lo stesso risultato con cellule umane. Il processo offre, in teoria, gli stessi potenziali benefici della clonazione terapeutica – una disponibilità illimitata di cellule pluripotenti geneticamente abbinate a un paziente – ma senza i dubbi etici.
Molti prevedevano che le cellule iPS avrebbero presto sostituito le cellule staminali embrionali nella ricerca, ma non è successo. Dopo il 2006 il numero di pubblicazioni sulle cellule ES è cresciuto rapidamente ed è diventato costante, attestandosi a circa 2000 l’anno a partire dal 2012. Parte della ragione era che le cellule ES erano il gold standard rispetto al quale i ricercatori potevano confrontare le cellule iPS. E ancora oggi ci sono alcuni che dubitano della sicurezza del ricorso a cellule iPS. Zhou Qi, biologo esperto in cellule staminali all’Istituto di zoologia dell’Accademia cinese delle scienze a Pechino, afferma che la preoccupazione che le cellule iPS possano causare tumori lo ha ispirato a usare le cellule staminali ES in più di una dozzina di studi clinici che sta preparando.
Gran parte della ricerca sulle staminali embrionali umane è stata condotta per rendere più facile lavorarci. La loro derivazione inizialmente è stata un processo alquanto spinoso: prelevarne una per coltivarla e ottenere una nuova popolazione aveva successo meno dell’1 per cento delle volte.
Alcuni progressi hanno cambiato la situazione. Nel 2007, per esempio, Yoshiki Sasai del RIKEN Centre for Developmental Biology a Kobe, in Giappone, scoprì una molecola, chiamata inibitore ROCK12 , che poteva impedire alle cellule ES di morire una volta rimosse dalle colonie in cui vivevano. Il tasso di successo nella creazione di nuove colonie è così salito al 27 per cento.
“Ha cambiato radicalmente le prospettive su ciò che si poteva fare”, dice Malin Parmar biologa cellulare al’Università di Lund in Svezia. Parmar, che usa le staminali embrionali umane per ricavare neuroni per uno studio clinico sul morbo di Parkinson, afferma che questi progressi tecnici hanno inaugurato “una nuova età dell’oro” per la ricerca sulle cellule staminali embrionali.
Ora le celle possono essere prodotte in modo rapido, affidabile e per un tempo illimitato. E in qualche modo evitano di trasformarsi in tumore, come alcuni temevano. “Non sappiamo ancora perché o come” mantengono questo equilibrio, dice Hiromitsu Nakauchi, biologo delle cellule staminali all’Università di Tokyo, che ha cercato di produrre quantità illimitate di piastrine del sangue da ES e da cellule iPS.
Tempo di diversificare
I ricercatori stanno anche cercando di coltivare organi. Avendo a disposizione le giuste molecole di segnalazione e il giusto l’ambiente tridimensionale, le cellule ES si organizzano in tessuti complessi detti organoidi, persino in vitro. Questa capacità è importante per i ricercatori che, come James Wells del Children’s Hospital di Cincinnati, in Ohio, stanno sviluppando organi intestinali per testare i farmaci, e forse un giorno, per i trapianti.
E nuove fonti di cellule staminali embrionali hanno presentato altre possibilità di ricerca per le malattie genetiche. Nel 2004, per esempio, i medici della fertilità di Chicago iniziarono a produrre linee di cellule ES a partire da embrioni creati attraverso la fecondazione in vitro nei quali erano stati trovati difetti genetici, e che quindi erano inadatti ai trattamenti per la fertilità.
Questo permise al team di creare modelli cellulari della talassemia, della malattia di Huntington, della sindrome di Marfan, della distrofia muscolare e di altre patologie genetiche. Nel 2007, i ricercatori usarono le staminali embrionali per individuare i cambiamenti molecolari che portano a disabilità cognitive in una condizione ereditabile nota come sindrome dell’X fragile.
I ricercatori dicono che le cellule iPS promettono ancora di più per gli studi in vitro delle malattie, vale a dire la capacità di coltivare staminali da qualsiasi persona vivente con una condizione genetica sospetta. Ma molti ricercatori vedono forti potenzialità in quest’area anche per le cellule staminali embrionali. Alcune condizioni causano danni alle cellule adulte che rendono ben poco informative le cellule iPS derivate da esse. E inoltre le cellule staminali embrionali hanno anche un ruolo da “comprimarie”.
Nel 2008, per esempio, Kevin Eggan della Harvard a di Cambridge, in Massachusetts, produsse linee cellulari iPS da persone affette da sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Dal precedente lavoro con le ES, Eggan sapeva in che modo le cellule pluripotenti possono essere indotte a diventare motoneuroni, le cellule cerebrali colpite dalla malattia. Facendo lo stesso con le cellule iPS derivate dai pazienti, poté confrontare rapidamente i due tipi di cellule. Le cellule dei pazienti si attivavano molto più delle loro controparti tratte da persone prive della malattia. “Abbiamo approfittato di tutto il lavoro che avevamo fatto con le cellule ES per capire i motoneuroni”, dice Eggan. Ora è in fase di test negli esseri umani un farmaco antiepilettico che “tranquillizza” le cellule iPS create a partire dai pazienti. I risultati sono attesi nei prossimi mesi.
Egli e Nissim Benvenisty della Hebrew University a Gerusalemme hanno ribaltato consolidati concetti della biologia umana quando hanno derivato linee di cellule ES con appena metà del numero normale di cromosomi. I ricercatori stanno ora iniziando a usare strumenti di modificazione genica su queste ES aploidì per capire come funzionano i geni nella fase di sviluppo. Poiché hanno un solo insieme di geni di cui preoccuparsi, le cellule potrebbero fornire risultati molto più diretti, dice Egli.
Non tutti i progressi nella ricerca sulle malattie con staminali embrionali sono stati realizzati senza intoppi. Douglas Melton, dell’Harvard Stem Cell Institute, ha impiegato 15 anni per trasformare le cellule ES in cellule β – le cellule pancreatiche in grado di percepire il glucosio e produrre insulina – che fossero funzionali. Poi non è riuscito a trovare alcuna differenza tra le cellule pancreatiche prodotte da normali cellule ES e cellule iPS ottenute da persone con diabete di tipo 1 o 2. “Sappiamo che c’è una suscettibilità genetica, ma questo non significa che si può vedere in vitro,” dice.
Rinascita cellulare
Melton ha ancora dei progetti per le cellule β che ha ottenuto da cellule ES. Spera di trapiantarle in persone con diabete di tipo 1 per porre fine, o almeno ridurre, la loro dipendenza dalle iniezioni di insulina. L’ultimo ostacolo è l’introduzione delle cellule in un modo che consenta loro di non essere distrutte dal sistema immunitario.
La Semma Therapeutics, una società che Melton ha fondato a Cambridge, si propone di farlo collocando le cellule in un “sacchetto” che permetta il passaggio delle sostanze nutritive e dell’insulina, ma blocchi l’accesso alle cellule immunitarie. Prevede di iniziare le sperimentazioni cliniche entro tre anni. La ViaCyte di San Diego, in California, ha appena riavviato uno studio clinico simile che aveva iniziato nel 2014 dopo aver riprogettato la sua tecnologia di incapsulamento. E altre società, come la Novo Nordisk in Danimarca, stanno avviando programmi per il diabete che usano cellule derivate da cellule ES.
La rivoluzione delle staminali embrionali umane
In ambito clinico, molti hanno supposto che le cellule iPS avrebbero finito per avere la meglio sulle ES. Un potenziale vantaggio è che possono produrre cellule e tessuti con lo stesso DNA del paziente e, quindi, non causare una reazione immunitaria quando vengono trapiantati. Ma per la maggior parte delle malattie genetiche, compreso il diabete di tipo 1, le cellule iPS create da un paziente conterrebbero la mutazione che causa il problema e le cellule dovrebbero essere modificate per ottenere un beneficio terapeutico.
Poi c’è la questione dei costi. Preparare una singola linea di cellule iPS per uso clinico costerebbe circa un milione di dollari, dice Jeanne Loring, biologa delle cellule staminali allo Scripps Research Institute a La Jolla, in California. Un costo attualmente proibitivo se l’obiettivo è quello di usare le cellule di un paziente, ma Loring si aspetta che il prezzo scenda e sta lavorando allo sviluppo di cellule iPS come terapia per il morbo di Parkinson.
Finora i ricercatori hanno avviato un solo studio sull’uomo in cui sono state usate cellule derivate da cellule iPS. Diretto dall’oftalmologo Masayo Takahashi del RIKEN Center for Developmental Biology, si proponeva di curare la degenerazione maculare, ma è stato interrotto nel 2014 quando i ricercatori hanno deciso di semplificare la procedura e usare cellule staminali derivate da un donatore, invece che dal paziente. Lo studio è ripartito nel 2017, ma ha subito un altro stop a gennaio, quando nell’occhio di un partecipante si è sviluppata una membrana che ha dovuto essere rimossa chirurgicamente.
La degenerazione maculare è stata spesso un obiettivo delle terapie con cellule ES. Negli Stati Uniti, nel Regno Unito, nella Corea del Sud, in Cina e in Israele sono state effettuate almeno sei sperimentazioni cliniche. Il 19 marzo scorso, alcuni ricercatori diretti dall’oftalmologo Pete Coffey, direttore del London Project to Cure Becdnessn e dell’Università della California a Santa Barbara hanno riferito i risultati di uno studio per l’impianto di un patch di cellule ottenute da cellule ES nella retina danneggiata di due individui. Un anno dopo la procedura, i partecipanti avevano riacquistato la capacità di leggere, anche se lentamente.
Alan Marmorstein, oftalmologo alla Mayo Clinic di Rochester, Minnesota, lo definisce un “grande passo avanti” per il settore. “Questa è la prima forte indicazione di efficacia negli esseri umani e certamente supporta ulteriori studi in altre parti del corpo”, dice. Coffey dice che le scoperte stanno finalmente arrivando perché gli scienziati stanno ora cercando il modo migliore per introdurre le cellule nelle persone. “Un decennio fa, pensavamo: ‘Basta introdurre le cellule, e sapranno cosa fare’. Non è così, devono essere controllate in qualche modo appropriato”.
Molti, nel campo delle cellule staminali, scommettono che la prossima grande scoperta clinica per le cellule staminali embrionali umane riguarderà il morbo di Parkinson. Il disturbo è causato da una perdita del neurotrasmettitore dopamina, e una mezza dozzina di aziende e cliniche si stanno attrezzando per utilizzare cellule ES o cellule iPS per sostituire i neuroni produttori di dopamina.
Una questione cruciale è fino a che punto le cellule pluripotenti debbano essere portate verso la maturità prima di essere trapiantate. Uno studio australiano iniziato nel 2016 e uno cinese iniziato nel 2017 usano cellule progenitrici neurali non mature, che non producono dopamina. I ricercatori dicono che l’immaturità delle cellule le aiuterà a sopravvivere al trapianto e a integrare nel cervello del loro nuovo ospite. Ma i responsabili di un gruppo di studi sulle cellule ES e iPS (noti collettivamente come Gforce-PD) dicono che le cellule più mature che usano per trasformarle nel tipo desiderato di cellule produttrici di dopamina sono più affidabili e hanno meno probabilità di crescere fuori controllo.
Un percorso ancora aperto
La ricerca sulle cellule ES ha ancora spazio per crescere se riuscirà a superare alcuni ostacoli. Un grosso problema è che molti tipi di cellule sono difficili da produrre. Melton stima che solo una decina di tipi di cellule finora creati sono veramente equivalenti dal punto di vista funzionale alle cellule umane normali. E alcuni degli impieghi potenzialmente più estesi, come gli ovuli e gli spermatozoi, continueranno a rappresentare una sfida per il prossimo futuro.
Il settore si trova anche a dover affrontare incertezze in merito ai finanziamenti. Agli scienziati sono giunte spesso voci secondo cui il presidente degli Stati Uniti Donald Trump potrebbe imporre nuove restrizioni ai finanziamenti federali per la ricerca sulle staminali embrionali umane.
Ma nonostante le difficoltà incontrate nella loro storia, le cellule ES hanno dimostrato ripetutamente il loro valore, e in alcuni modi imprevedibili, dicono molti ricercatori. Alcuni ricercatori hanno addirittura ridotto l’uso di modelli animali perché le cellule staminali embrionali sembrano fornire un percorso migliore per studiare le malattie umane. “Il mio motto era: ‘tutto umano, sempre'” dice Melton.
Yamanaka dice che le cellule ES sono state la motivazione per il suo lavoro sulle cellule iPS. Ed è stata la ricetta di Thomson per le cellule umane ES a permettere il passaggio da cellule di topo a cellule umane iPS in un solo anno, dopo che c’erano voluti quasi vent’anni per passare da cellule di topo ES alla varietà umana. “Sapevamo esattamente come coltivare le cellule iPS umane”, dice Yamanaka.
Oggi le cellule staminali embrionali sono altrettanto cruciali, dice, per comprendere meglio il meccanismo della pluripotenza e per migliorare l’applicazione medica di qualsiasi cellula pluripotente. “L’importanza delle cellule umane ES non è inferiore a quella di 20 anni fa, e non credo che lo sarà meno in futuro”, afferma.
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Nature il 20 marzo 2018. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)