Si chiama BBS9 il gene coinvolto nel processo di craniosinostosi, malformazione congenita, diagnosticata alla nascita o nei mesi immediatamente successivi, legata alla prematura ossificazione e chiusura delle suture, che sono regioni elastiche nel cranio del neonato.
La scoperta, pubblicata sulla rivista Bone, è frutto dell’attività di ricerca, coordinata da Wanda Lattanzi, ricercatrice dell’Istituto di anatomia umana e biologia cellulare dell’Università Cattolica di Roma, in collaborazione con l’Unità Operativa Complessa di Neurochirurgia Infantile della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs. La craniosinostosi ha una prevalenza di 1 caso ogni 2000-2500 nati vivi; in Italia si stimano circa 180 nuovi casi all’anno, di cui circa 100 sarebbero casi di “craniosinostosi non sindromica”, che sono le forme studiate dal gruppo di ricerca. Lo studio, ha coinvolto 16 pazienti, fra gli oltre 400 reclutati presso questo centro, dove vengono trattati chirurgicamente in media 50-70 pazienti all’anno affetti da craniosinostosi, cioè oltre il 50% dell’intera casistica italiana.
“Lo studio appena pubblicato ha dimostrato per la prima volta che le cellule staminali presenti all’interno delle suture patologiche dei pazienti producono livelli anomali del gene ‘BBS9’ che si accumula all’interno delle cellule senza riuscire a svolgere le sue funzioni fisiologiche”, spiega Wanda Lattanzi. Tale anomalia invece non è presente nelle suture non colpite dalla malformazione, all’interno del cranio degli stessi pazienti. Come risultato di questa alterazione genetica, le cellule staminali all’interno delle suture colpite si trasformano in cellule che formano osso (osteoblasti), le suture pertanto perdono la loro elasticità, andando incontro a una rapida ossificazione che ne determina la saldatura precoce”. Grazie alla collaborazione con Alessandro Arcovito (Istituto di Biochimica e Biochimica clinica dell’Università Cattolica) e con Stefano Della Longa (Università dell’Aquila), è stato inoltre possibile identificare specificamente una variante tronca della proteina, prodotta a partire dal gene ‘BBS9’, la cui struttura non le consente di legare correttamente le altre proteine all’interno della cellula, causando l’ossificazione incontrollata. “I risultati ottenuti da questo studio consentiranno di sviluppare test diagnostici più specifici per le forme di craniosinostosi da cause ignote – prosegue Lattanzi – Inoltre la scoperta del ruolo chiave della proteina ‘BBS9’, suggerisce il suo utilizzo come bersaglio molecolare, per lo sviluppo di nano-biotecnologie innovative che ne riducano i livelli anomali all’interno delle cellule staminali delle suture”. Questo consentirebbe di sviluppare approcci terapeutici minimamente invasivi e personalizzati per la cura delle craniosinostosi, riducendo i rischi del trattamento chirurgico.