Da un test del Dna di un piccolo campione di acqua si può scoprire quali forme di vita popolino gli oceani. E’ la scoperta dell’ecologo molecolare Bruce Deagle dell’Australian Antarctic Division di base a Hobart, il cui metodo si affida al “Dna ambientale” o “e-Dna“: tracce di struttura genetica lasciate da escrementi, frammenti di pelle o di carne.
Centinaia di ricerche condotte trascinando reti dietro imbarcazioni per raccogliere campioni, e lunghi viaggi per censire uccelli, foche, pinguini e anche balene, potranno essere sostituite dalla raccolta di campioni di appena due litri di acqua marina, filtrati e sottoposti a esami del Dna. L’acqua filtrata lascia tracce invisibili su un filtro di carta di pochi cm di diametro. Su queste viene poi eseguita la sequenza del Dna, che rivela un vero “serraglio” di vita oceanica.
La tecnica è stata già usata per identificare specie sotto la superficie di laghi e stagni. Deagle e i suoi collaboratori la stanno collaudando negli oceani e hanno raccolto 200 campioni di acqua marina in un viaggio lo scorso marzo fra Hobart in Tasmania e la subantartica Macquarie Island. I campioni vengono ora esaminati per scoprire quali specie possono essere individuate e i quali aree.
“Usando questo metodo possiamo già monitorare il fitoplancton e i batteri, ma contiamo di poter identificare uno zooplancton più grande, come i copepodi e il krill, oltre a diverse specie di pesci e potenzialmente anche pinguini e foche”, scrive lo scienziato sul sito dell’Australian Antarctic Division.
I nuovi dati saranno comparati con quelli dei metodi tradizionali di campionamento per lo zooplancton, ma in seguito anche per vedere cosa può rivelare sulla presenza di pesci, uccelli acquatici e mammiferi. Il metodo promette di rendere il monitoraggio degli ecosistemi oceanici più rapido, meno costoso e più facile, più standardizzato e accurato, si augura Deagle.