La paura del diverso è radicata nel nostro cervello, così come anche la tendenza ad aiutare chi non fa parte del nostro gruppo. Alcuni esperimenti ci suggeriscono come spingere verso l’altruismo e ridurre il timore
L’Italia è uno dei paesi più xenofobi d’Europa: il 70% ha paura degli immigrati e tra le 10 città europee più razziste 4 sono italiane (Torino, Bologna, Roma e Napoli). Il fatto che malgrado la riduzione dei reati (omicidi dimezzati in 10 anni) il 39% auspichi criteri meno rigidi per il possesso di armi la dice lunga. Viviamo in un paese profondamente egoista e xenofobo.
Matteo Salvini è bravo a intercetta sentimenti largamente diffusi. È geniale lo slogan “prima gli italiani”, che risuona nel cervello tribale di ognuno di noi come “la sopravvivenza del mio gruppo è minacciata da estranei e dobbiamo proteggere le nostre donne, i nostri figli, il nostro lavoro, le nostre case, etc”. Perché è così diffusa la xenofobia in Italia? Probabilmente conta il fatto che siamo sempre più un paese di anziani, e anche che l’80% della popolazione è funzionalmente analfabeta. Si devono temere derive illiberali? Sì. Esistono strategie per circoscrivere gli effetti socialmente destabilizzanti di xenofobia e razzismo? Per rispondere a questa domanda bisogna riferirsi alle conoscenze neurobiologiche ed evolutive sulle cause dei conflitti sociali umani: già nel 2001 l’Unesco consigliava di sviluppare strategie scientificamente fondate per controllare atteggiamenti xenofobi e discriminatori.
Con buona pace dei politicamente corretti e culturalisti, la specie umana è geneticamente xenofoba. La xenofobia è nel nostro dna. Era un comportamento molto adattativo nel mondo preistorico e anche se oggi non è un tratto apprezzato, non esiste alcuna volontà o libero arbitrio in grado di sopprimerlo perché non piace. Per fortuna nel genoma c’è anche l’altruismo, e i contesti possono far prevalere l’uno o l’altro di questi tratti.
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