Contiene tutti i tipi di cellule che compongono la corteccia umana, e, sotto il profilo biologico, è una sorta di cervello in miniatura ed è stato sviluppato in provetta. Si tratta di un organoide ed è il modello biologico più simile ad un vero cervello umano, che sia mai stato realizzato finora. A svilupparlo un gruppo di ricercatori della Case Western Reserve University, che ne hanno dato l’annuncio sulla rivista Nature Methods. I ricercatori sono riusciti ad ottenere i mini-cervelli grazie all’inserimento nel modello di un particolare tipo di cellula, gli oligodendrociti dopo averle sviluppate, insieme alle altre, a partire da cellule staminali dei pazienti.
“Ora abbiamo una rappresentazione più accurata delle interazioni cellulari che si verificano durante lo sviluppo del cervello umano”, ha detto Paul Tesar, professore di terapie innovative e professore associato di genetica e scienze del genoma presso la Case Western Reserve University School of Medicine. Gli oligodendrociti sono fondamentali perché producono la mielina, una sostanza grassa che avvolge e supporta le connessioni delle cellule nervose, proprio come l’isolamento attorno a un cavo elettrico. Senza la mielina, le cellule nervose non possono comunicare efficacemente e possono deteriorarsi. Molte malattie neurologiche derivano da difetti della mielina, tra cui la sclerosi multipla e malattie genetiche pediatriche rare.
Gli organoidi funzionano come veri e propri modelli che permettono di mettere in campo terapie su misura per ogni singolo paziente. I ricercatori sono infatti in grado di creare un piccolo organoide a partire dalle cellule di ciascun paziente e dunque di testare su di esso l’efficacia dei farmaci. Alcuni esperimenti in questa direzione sono già stati effettuati con esiti interessanti. Il team di ricerca ha infatti generato organoidi da pazienti con malattia di Pelizaeus-Merzbacher, un raro ma fatale disturbo genetico della mielina. “La malattia di Pelizaeus-Merzbacher è un disturbo complicato da studiare a causa delle molte mutazioni che possono causarlo e della inaccessibilità del tessuto cerebrale del paziente”, ha detto Zachary Nevin, PhD, co-autore dello studio, “ma questi nuovi organoidi ci permettono di studiare direttamente il tessuto simile al cervello di molti pazienti contemporaneamente e di testare potenziali terapie”.