Esiste o non esiste? E’ una delle storia più affascinanti dell’era moderna. Sospesa a metà, tra scienza e fantascienza, mito e leggenda. Stiamo parlando di “Nessie“, il celebre mostro di Loch Ness, la spaventosa creatura che, si dice, viva nascosta negli abissi del lago che sorge a sud-ovest di Inverness, in Scozia. Ebbene, se questa “selvaggia bestia marina”, come la definì nel 566 il monaco irlandese Adamnano di Iona (il primo a descriverla nella sua Vita Sancti Columbae), sia vera oppure solo frutto dell’immaginazione, questo ce lo dirà la branca della biologia che studia i geni, l’ereditarietà e la variabilità genetica negli organismi viventi. In poche parole: la genetica.
A svelare il mistero che ancora oggi circonda la fantasmagorica creatura potrebbe essere un team internazionale di scienziati dell’Università di Otago (Nuova Zelanda), guidato da Neil Gemmell, impegnato in un’indagine sulle acque del famoso bacino delle Highlands scozzesi dove, a dire il vero, in tutti questi anni del temuto “mostro” non è mai stata trovata alcuna prova evidente.
Gli scienziati, grazie a un progetto messo a punto nel 2001 dalla fondazione Scottish Naturale Heritage (SNH) – che ha il compito di tutelare l’habitat della fauna selvatica scozzese, catalogando le tracce di Dna di ciascuna nuova specie trovata – hanno iniziato a raccogliere campioni d’acqua, ma anche materiali biologici e campioni di pelle del Loch Ness, impiegando il cosiddetto metodo del Dna ambientale (eDNA).
Just over a week before we travel to Loch Ness to investigate what secrets are held in its waters. https://t.co/lXjkwdOyr9
— Neil Gemmell (@ProfGemmell) 21 maggio 2018
Si tratta di una tecnica che consente di identificare i resti di materiale genetico lasciati da qualsiasi forma di vita. Compresa, appunto (se realmente c’è), Nessie. I biologi dell’ateneo neozelandese mirano, in poche parole, a creare un elenco dettagliato di tutti gli organismi che popolano le acque del lago delle Highland. Compreso il temuto “lucertolone”! Sì, proprio quell’essere mostruoso in cui, nella notte fra il 5 e il 6 gennaio 1934, si imbattè (o almeno così disse lui) uno studente di veterinaria di nome Arthur Grant il quale raccontò di aver quasi investito con la sua motocicletta un ibrido tra una foca e un plesiosauro.
Insomma, per dirla breve, i biologi “all blacks” stanno andando a caccia di prove di sequenze di Dna simili a quelle che potrebbero provenire da un grande rettile marino estinto, la cosiddetta “ipotesi giurassica” formulata attorno a Nessie, ma senza farsi troppe illusioni. Perché sono decenni che spuntano fuori presunte foto e notizie di avvistamenti del mitico mostro. Ma finora, tranne i milioni di turisti che ancora oggi il Loch Ness attira, null’altro è sbucato dalle sue acque.