I coralli arancioni del Mediterraneo sono dei killer di meduse: aspettano che le ignare prede si avvicinino alle loro pareti e le catturano colpendole con un piccolo dardo e del veleno, quindi le sbranano. Sono anche i primi coralli che collaborano tra loro nella caccia, come fa un branco di lupi. Per questa loro caratteristica, i ricercatori italiani che hanno notato il fenomeno a Pantelleria, hanno rinominato le colonie “Muri della morte“. Annunciata sulla rivista Ecology, la scoperta si deve ai biologi marini della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e le università di Bologna e Edimburgo.
Lo studio di questo comportamento predatorio inaspettato potrebbe aiutare a comprendere le basi del comportamento sociale: “questi piccoli polipi dei coralli, piuttosto antichi da un punto di vista evolutivo, sembrano a loro modo cooperare nella caccia, perché abbiamo visto che il primo polipo attacca la preda e poi ne arrivano altri che la bloccano” ha detto all’ANSA Luigi Musco della Stazione Zoologica Anton Dohrn. “Questo comportamento predatorio di gruppo – ha aggiunto – è solitamente osservato in esseri sociali più evoluti”.
Questo corallo appartiene a una specie chiamata Astroides calycularis, nota come Madrepora arancione, capace di formare colonie composte da numerosi polipi. Il suo comportamento predatorio è stato scoperto per caso, mentre Musco e Tomas Vega Fernandez (della Stazione Zoologica e del Cnr) si erano immersi a Pantelleria per studiare questi coralli che, come le barriere coralline di tutto il mondo, sono minacciati dai cambiamenti climatici. Una volta immersi, ha rilevato Musco “ci siamo resi conto di essere circondati da decine di meduse e abbiamo notato alcuni esemplari di Astroides intenti a ingoiare qualcosa di piuttosto grosso rispetto alle loro dimensioni”.
A rafforzare la scoperta, una foto scattata anni prima a Panarea da Erik Caroselli, dell’università di Bologna che immortalava una scena analoga: cioè coralli che mangiavano una medusa. I due ricercatori hanno quindi proseguito la ricerca lungo le coste italiane, con Fabio Badalamenti, del Cnr e dell’università di Edimburgo, e Murray Roberts dell’università di Edimburgo e hanno confermato il fenomeno anche al largo di altre isole siciliane, come Marettimo e Favignana.