Glifosato, Monsanto condannata: risarcirà giardiniere malato di cancro. Focus di Bio’s sull’erbicida “killer”

La Monsanto, multinazionale di biotecnologie agrarie, è stata condannata a pagare un risarcimento milionario a favore di uomo che ha denunciato l’azienda affermando che un suo prodotto usato come erbicida ha contribuito a farlo ammalare di un tumore rivelatosi terminale. Lo ha stabilito un giudice di San Francisco ordinando il pagamento di 289 milioni di dollari in quanto l’azienda non avrebbe adeguatamente avvertito sui rischi nell’utilizzo del prodotto contenente glifosato, una sostanza già al centro di polemiche e dispute legali in quanto considerata nociva. La Monsanto ha respinto le accuse e ha già annunciato che farà appello.
Dewayne Johnson, custode di siti scolastici nella zona di San Francisco, aveva utilizzato l’erbicida nel suo lavoro e aveva sviluppato un’eruzione cutanea nel 2014, all’età di 42 anni, con la successiva diagnosi di un linfoma non-Hodgkin. I legali della multinazionale hanno sostenuto, da parte loro, che quel tipo di linfoma impiega anni per manifestarsi e che quindi Johnson deve esserne stato affetto da prima del suo incarico nel distretto scolastico. Si tratta, in ogni caso, della prima denuncia che arriva in tribunale in cui si sostiene il legame fra il glisofato e una diagnosi di cancro. Fatto che la Monsanto ha contestato: “La giuria ha sbagliato”, ha reagito a caldo il vicepresidente dell’azienda. Esistono tuttavia fino a 5.000 denunce negli Stati Uniti simili a quella al centro del caso di Dewayne Johnson che potrebbe quindi costituire un precedente importante con possibili centinaia nuove denunce contro la Monsanto, di base a St. Louis e recentemente acquistata dal conglomerato tedesco Bayer AG.

 

Di seguito, pubblichiamo l’articolo apparso sul “numero 0” della rivista Bio’s – a firma Fiorella Belpoggi e Simona Panzacchi – dedicato allo studio pilota dell’Istituto Ramazzini in cui si rilancia l’allarme proprio sull’uso del glifosato.

 

Il pericolo corre sull’erba

Alterazioni significative dello sviluppo sessuale e del microbioma intestinale: uno studio pilota dell’Istituto Ramazzini rilancia l’allarme sull’uso del glisofato

Il glifosato è l’erbicida più usato della storia: ben 8.6 miliardi di chilogrammi di diserbanti GBHs (cioè a base di glifosato) sono stati adoperati nel mondo a partire dal 1974. L’utilizzo, in continuo incremento, è aumentato di 15 volte dal 1996 in seguito all’introduzione delle coltivazioni geneticamente modificate. Eppure intorno ai GBHs regna ancora un’incertezza scientifica, che determina anche quella politica, come dimostrato dal rinnovo limitato a 5 anni della licenza per il glifosato concesso nel novembre 2017 dall’Unione europea.
Nel 2015 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato il glifosato come “probabile cancerogeno per l’uomo”; ma l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), in seguito alla valutazione dell’Istituto Federale Tedesco per la Valutazione del Rischio (BfR), ha affermato “improbabile che il glifosato ponga un pericolo cancerogeno per l’uomo”. Su una posizione analoga si è attestata anche l’Agenzia Europea per la Chimica (ECHA), secondo la quale “le evidenze scientifiche disponibili non soddisfano i criteri necessari per classificare il glifosato come cancerogeno, mutageno o tossico per la riproduzione”. Negli Stati Uniti la valutazione della pericolosità da parte dello US Environmental Protection Agency (EPA) è attualmente in corso.
L’industria e le autorità regolatorie affermano, insomma che siamo esposti solo a livelli sicuri di glifosato e GBHs, tali da non causare effetti negativi, in base alle risultanze dei test di tossicità finora condotti su animali da laboratorio. Un crescente numero di prove raccolte indica, però, che questi test sono inadeguati a determinare gli effetti tossici dei residui di glifosato di GBHs, e che il consumo di questi residui può essere un rischio per la salute.
Va tenuto conto che le autorità regolatorie stabiliscono i limiti di sicurezza per l’esposizione alle sostanze chimiche basandosi su dati provenienti da studi di tossicità dall’industria stessa; di solito il limite è 100 volte inferiore alla dose senza effetti avversi osservabili nell’animale di laboratorio, ovvero la NOAEL (No Observed Adverse Effect Level).
A tutt’oggi resta così aperta la domanda fondamentale: le concentrazioni di glifosato ammesse come residuo nell’acqua e negli alimenti, e quindi come dose giornaliera nell’uomo, sono davvero sicure?
Proprio per dare finalmente una risposta l’Istituto Ramazzini ha realizzato uno studio “pilota” propedeutico ad identificare tutti i punti critici/cruciali, sia scientifici che organizzativi, utili alla pianificazione e allo svolgimento di un progetto sperimentale in vivo a lungo termine.
Avviato nel 2016, lo studio sul glifosato ha coinvolto una serie di partner autorevoli, tra i quali l’Università di Bologna (Dipartimento di Agraria, Veterinaria e Biostatistica), l’Ospedale San Martino di Genova, l’Istituto Superiore di Sanità, la Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York e la George Washington University.
La dose somministrata nell’ambito dello studio pilota – focalizzato sui possibili effetti durante il periodo neonatale, l’infanzia e l’adolescenza – è la dose giornaliera equivalente a quella ammessa negli Stati Uniti per l’uomo, e cioè l’Acceptable Daily Intake (ADI) di 1,75 mg/kg p.c./giorno. L’ADI è una stima della quantità di una sostanza in cibo o acqua da bere, espressa in base alla massa corporea, che si stabilisce possa essere ingerita quotidianamente per tutta la vita da parte degli esseri umani senza rischi rilevabili per la salute.
Il trattamento degli animali con glifosato o con GBHs (Roundup Bioflow) è iniziato dal sesto giorno di gestazione tramite somministrazione delle sostanze test alla madre (generazione F0), mediante acqua da bere. Alla nascita, i neonati (generazione F1) hanno continuato il trattamento attraverso il latte materno successivamente, dopo lo svezzamento, il trattamento degli animali è proseguito in maniera individuale fino a 70 giorni dalla nascita oppure fino a 120 giorni dalla nascita (PND 70 o 120). Molti gli aspetti scientifici approfonditi:
– studio generale dei parametri rilevabili in vivo (comportamento, accrescimento corporeo, consumo di acqua, consumo di cibo, etc.);
– studio di tossicità dello sviluppo degli effetti dell’esposizione prenatale;
– alterazioni del normale sviluppo del sistema endocrino in relazione a esposizioni precoci nelle finestre di suscettibilità biologica, ovvero durante la vita fetale e la gestazione per via indiretta attraverso la placenta, alla nascita attraverso il latte materno e durante la crescita mediante esposizione diretta;
– identificazione di bio-marker espositivi mediante raccolta di tessuti o fluidi biologici nelle principali finestre di suscettibilità biologica;
– cambiamenti istopatologici negli organi bersaglio;
– cambiamenti biomolecolari negli organi bersaglio;
– cambiamenti a livello del microbioma.
I ratti trattati con glifosato puro o con il suo formulato hanno mostrato livelli comparabili di glifosato e del suo principale metabolita (AMPA) nelle urine, dimostrando quindi una assenza di differenze significative nell’assorbimento ed escrezione di glifosato nei due gruppi di trattamento, ma suggerendo piuttosto un effetto di bioaccumulo del glifosato proporzionale al tempo di trattamento.
I risultati mostrano inoltre che i GBHs, anche a dosi considerate sicure e dopo un periodo relativamente breve di esposizione (equivalente nell’uomo ad un’esposizione dalla vita embrionale fino ai 18 anni), possono alterare alcuni importanti parametri biologici, in particolare relativi allo sviluppo sessuale, alla genotossicità e al microbioma intestinale, soprattutto durante lo sviluppo.
Più specificamente, nei ratti trattati con GBHs, i risultati hanno mostrato alterazioni statisticamente significative del microbioma intestinale, soprattutto durante lo sviluppo, e un’alterazione di alcuni parametri dello sviluppo sessuale, specialmente nelle femmine. Per quanto riguarda la genotossicità è stato osservato un aumento statisticamente significativo di micronuclei nelle cellule del midollo osseo, in particolare nelle prime fasi della vita.
Sui risultati dello studio pilota sono già disponibili on-line tre articoli, pubblicati a fine maggio dalla prestigiosa rivista scientifica Enviromental Health, e contenenti i dati sugli effetti sul microbioma e sui biomarker espositivi. I dati sui parametri riproduttivi e sulla genotossicità sono attualmente in fase di peer-review e saranno presto pubblicati.
Ora è più che mai necessario confermare ed estendere le prime evidenze emerse, e dare risposte definitive alle domande sugli effetti sulla salute dei GBHs, inclusi quelli cancerogeni. A tal fine l’Istituto Ramazzini, con il supporto di altri istituti e università indipendenti di tutto il mondo, ha lanciato una campagna di crowdfunding per finanziare il più grande studio integrato a lungo termine sugli effetti del glifosato, che richiede un budget minimo di 5 milioni di euro. Qualsiasi sia il suo esito, questo studio potrà finalmente fornire alle agenzie regolatorie e ai decisori politici solidi risultati indipendenti, ottenuti con un progetto di ricerca condiviso; risultati sui quali basare le valutazioni dei rischi e le scelte, incluso il rinnovo dell’autorizzazione della licenza per il glifosato, che in Europa scadrà nel 2022.