Promuovere la propria professionalità per essere competitivi nel mercato del lavoro. Questo lo scopo del forum nazionale dei giovani biologi che si è riunito oggi a Firenze nella sede della Camera di commercio. Oltre 300 i giovani iscritti. Obiettivo dell’evento: avvicinare i biologi al mondo delle imprese e dare loro la possibilità di valutare le diverse opportunità di lavoro, nel campo della ricerca scientifica, della consulenza specialistica e dell’auto-imprenditorialità Pubblichiamo, di seguito il testo dell’intervista (a firma Riccardo Mazzoni) al presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi, sen. Vincenzo D’Anna, pubblicata oggi, a pagina 16 del quotidiano “Libero“.
Giovani e prospettive, convegno a Firenze
I biologi proteggono l’ambiente ma intanto muoiono di fame
Uno su tre non trova posto. D’Anna, presidente dell’Ordine: «Per la professione si aprono spazi nella genetica e nell’ambiente. La laurea triennale? Non basta»
Di Riccardo Mazzoni
C’è un cortocircuito tra la laurea in biologia e l’approdo al lavoro, anche se in teoria gli sbocchi occupazionali offerti ai biologi dovrebbero essere sempre più ampi, spaziando dagli ambiti sanitari alla genetica, dal le biotecnologie chimiche e farmaceutiche alla bioinformatica, dalla genetica forense all’ambiente e alla tutela dei beni culturali. Per questo l’Ordine nazionale dei biologi ha organizzato per oggi, nell’Auditorium della Ca- mera di Commercio di Firenze, un convegno per superare questo gap e aprire nuove frontiere alla professione. Un incontro con i giovani biologi fortemente voluto dal presidente Vincenzo D’Anna, che in pochi mesi ha dato un grande impulso all’attività dell’Ordine.
Presidente D’Anna, la biologia è forse la scienza che ha maggiori prospettive di ricerca e di sviluppo con le nuove tecnologie. Eppure le statistiche dicono che oggi sono al lavoro 32mila biologi, ma 11 mila, quindi uno su tre, sono disoccupati. Come si spiega?
«Lo definirei un gap fisiologico: a differenza di altre facoltà come Medicina, Farmacia e Ingeneria, dove da tempo c’è il numero chiuso, le facoltà di Scienze invece hanno sempre tenuto le porte più aperte, anche se con il numero programmato. In Italia abbiamo 104mila laureati, un numero importante, e purtroppo non siamo né la California né il Giappone, non disponiamo di un apparato industriale e di ricerca che possa consentire la piena occupazione. Il secondo motivo è che molto spesso i biologi non vengono censiti perché svolgono attività “nascoste” che gli stessi istituti di ricerca non sono in grado di censire. Molto spesso, ad esempio, attività svolte all’interno di istituzioni pubbliche o private vengono mascherate come attività libero-professionali. C’è, insomma, una sorta di dispersione sul territorio che è difficile colmare».
Il nuovo Consiglio dell’Ordine si è dato fra gli obiettivi prioritari quello di favorire l’avvicinamento dei giovani biologi al lavoro. Che prospettive si aprono col convegno di oggi a Firenze?
«Il primo obiettivo è quello di lasciare finalmente la parola ai giovani. Sono sempre gli altri a parlare per loro, e questo è un errore, Stamani a Firenze parleranno invece per primi sia i giovani biologi, sia i biotecnologi che i rappresentanti delle varie associazioni. Insomma: verrà esaminato lo stato dell’arte con tutti i problemi connessi all’inserimento nel mondo professionale sentendo la viva voce dei protagonisti. Nel pomeriggio ci sarà l’interfaccia con gli esponenti delle attività produttive, a partire dalle start up, in modo che i giovani comprendano cosa serve per diventare imprenditori di se stessi e l’industria, allo stesso tempo, capisca appieno qualità e conoscenze acquisite dai giovani biologi perché la ricerca applicata possa essere davvero tale».
Nutrizione, ambiente, sanità, biotecnologie, genetica forense e ricerca universitaria: quale di questi ambiti professionali offre più possibilità di lavoro?
«Il campo della nutrizione è abbastanza inflazionato: abbiamo quasi 10mila biologi e biotecnologi che si occupano già di questo ambito, in continua espansione ma sostanzialmente saturo. Molti spazi si aprono nel settore della genetica, sia predittiva che applicata, e in quello della procreazione assistita. Anche studio e tutela dell’ambiente offrono spazi di grande rilevanza per i biologi: servono ad esempio specialisti sull’impatto da nanoparticelle, sull’inquinamento da polveri sottili e da diossina. Ci sono nuovi campi di intervento in itticoltura, biologia forense, biologia marina, nell’impatto ambientale delle opere pubbliche. Ma la vera svolta arriverebbe dall’assunzione di un biologo in ogni Comune. Non si capisce infatti perché nei Comuni sono previsti per legge geometri, ingegneri, architetti e non i biologi. Eppure, ci sono questioni cruciali come lo smaltimento dei rifiuti, l’inquinamento da polveri sottili, le piogge acide, la qualità del cibo nelle mense scolastiche che attengono direttamente alla competenza dei biologi».
C’è un database dell’Ordine che incrocia offerta e domanda di lavoro?
«Il nuovo Consiglio si è insediato da poco, ma stiamo lavorando per metterlo a punto. Così come dobbiamo perfezionare l’anagrafe degli iscritti. Pensi che abbiamo difficoltà a identificare 20mila dei nostri 50mila iscritti perché sono sprovvisti di Pec o di una semplice e-mail».
Il laureato triennale per l’Ordine può iscriversi nella sezione B, quella di “biologo junior”, La laurea breve offre meno sbocchi lavorativi rispetto a quella specialistica?
«Questo è uno dei punti dolenti, io ritengo che la laurea triennale non abbia sortito dei buoni effetti sui livelli occupazionali. Il cosiddetto biologo junior esce dall’Università solo con le cognizioni di base, ma non può dire di avere acquisito quel completamento delle conoscenze che lo possono avviare a una pratica professionale di successo, e finisce spesso per svolgere mansioni subalterne in tutti gli ambiti della professione tranne che in quello sanitario».
ll Ddl Lorenzin, approvato a inizio anno e a cui lei come senatore ha dato un significativo contributo, prevede l’inserimento dei biologi tra le professioni sanitarie, riconoscendo il ruolo essenziale che hanno nella tutela della salute pubblica. Ci può spiegare cosa cambia per i biologi?
«Cambiano tante cose. Viene riconosciuta dopo mezzo secolo a un’intera categoria quello che le spettava da decenni, con migliaia di sanitari laureati che restavano relegati nel limbo di una categoria pseudo-tecnica ricompresa nelle mansioni, ma non nelle professioni sanitarie. Gap colmato. Questo consentirà ai docenti universitari e ai ricercatori di iscriversi all’Ordine professionale e di seguire la formazione continua che per un operatore sanitario è un requisito essenziale. Più in generale, ora finalmente abbiamo una categoria meglio inserita nell’ambito delle altre professioni».
Dalle statistiche più recenti risulta che l’ambito professionale storico, quello biomedico, non è più predominante.
«La biologia si sta aprendo a nuovi mondi, è una scienza in continua evoluzione. Pensi alla possibilità di leggere direttamente il codice genetico che aiuta non solo a curare le malattie neurodegenerative e il cancro, ma anche a individuare la predisposizione alle malattie molto prima che si manifestino. Quella delle nanotecnologie è una vera rivoluzione. Si va sempre più verso la medicina di precisione, per cui esiste il malato e non la malattia, e la diagnosi e la cura sono personalizzate e non possono più essere generalizzate. La bio-medicina continuerà a incidere anche in futuro, è la medicina classica a non essere più predominante»,
Perché per un giovane biologo è importante iscriversi subito all’Ordine dopo aver superato l’esame di Stato?
«L’Ordine è lo strumento attraverso il quale può trovare la tutela dei propri diritti, la salvaguardia dei propri interessi, e individuare gli indirizzi a lui più confacenti per l’ingresso nel mondo del lavoro. Meglio ben accompagnati che soli, insomma».