Di seguito pubblichiamo il testo della Lettura Magistrale “L’importanza della farmacovigilanza attiva e dell’anagrafe vaccinale”, tenuta dal virologo Giulio Tarro al convegno “Vaccinare in sicurezza”, organizzato dall’Ordine Nazionale dei Biologi a Roma, il 25 gennaio 2019.
Lettura Magistrale
“L’importanza della farmacovigilanza attiva e dell’anagrafe vaccinale”
La storia della Medicina è costellata di geniali ricercatori diventati martiri.
Ad esempio, Ignác Semmelweis. Medico ungherese, nel 1847 lavorava nella clinica ostetrica all’Ospedale generale di Vienna dove la cosiddetta “febbre puerperale” si portava via una paziente su otto. Perché quell’elevato tasso di mortalità? E perché non si verificava nell’adiacente reparto dove ad assistere le partorienti erano non già medici ma ostetriche? Ebbe una intuizione che a tutti noi oggi appare ovvia: la “febbre puerperale” dipendeva dai medici che visitavano le partorienti dopo aver effettuato autopsie, senza essersi prima lavate le mani. Semmelweis dispose, quindi, per tutto il personale medico del suo reparto l’obbligo di lavarsi le mani con una soluzione di cloruro di calce. Il tasso di mortalità per “febbre puerperale” scese all’1%. Sarebbe stato lecito aspettarsi un generale encomio per Semmelweis. Non fu così. Il suo direttore, il famoso cattedratico Johann Klein, lo fece licenziare accusandolo di presentare i medici “come untori”. Nessun medico prese le difese di Semmelweis che per una forte depressione finì per essere ricoverato in manicomio.
Oggi Semmelweis è riconosciuto come il “salvatore delle madri” e, dal 1969, l’università di Budapest si chiama Università Semmelweis; ma si direbbe che nessuno abbia riflettuto sulla viltà di una classe medica – quella di Vienna che all’epoca era riconosciuta come una delle più avanzate d’ Europa – che non spese una parola in difesa di Semmelweis.
L’anno scorso, 2018, fui preso dalla tempesta scatenata dalla sbalorditiva campagna vaccinale imposta dal ministro della Sanità Beatrice Lorenzin. Su questa ho pubblicato un libro “Dieci cose da sapere sui vaccini” (edito dalla Newton&Compton) che voleva essere “al di sopra delle parti” (1): non già un libello “pro o contro”, ma una panoramica a 360 gradi sulla questione vaccini indirizzata anche ai miei colleghi medici che, spesso, soprattutto quando rivestono una qualche carica accademica, finiscono per aggrapparsi pervicacemente alle proprie “convinzioni”. Due parole sul mio libro il cui “nocciolo” consisteva in una tabella che, schematicamente, sintetizzava i “pro e i contro” di ognuno dei vaccini resi obbligatori dalla legge 119 del 28 luglio 2017. La riporto qui in forma ridotta e priva delle note esplicative.
Vaccinazione antidifterica
Nel nostro Paese – secondo l’Istituto superiore di sanità – dal 2015 al 2017 sono stati registrati 8 casi di difterite tra i quali solo 1, segnalato nel 2016 nel Nord Italia, dovuto a Corynebacterium diphtheriae (produttore di tossina responsabile di difterite cutanea) gli altri casi dovuti a ceppi di Corynebacterium diphtheriae non produttori di tossina difterica. L’ultimo caso mortale di difterite in Italia si sarebbe verificato nel 1991. In Europa sono stati registrati alcuni casi di difterite sia in Belgio (2016: un morto) che in Spagna (2015: un morto). La difterite rimane tuttavia endemica in paesi come Brasile, Nigeria, India ed Indonesia mentre nel 1995 si sono verificati 50.000 casi nell’ex Unione Sovietica. Sulla vaccinazione antidifterica, resa obbligatoria in Italia nel 1939, sono state avanzate alcune critiche: tra le principali c’è che la minaccia di difterite, che si sarebbe diradata non per il vaccino ma per le migliorate condizioni igieniche, non rappresenta oggi un rischio significativo, potendo essere affrontata con antitossina e antibiotici che garantiscono un soddisfacente esito. Senza contare che il vaccino antidifterico contiene, tra l’altro, contestati adiuvanti.
Vaccinazione anti Epatite B
Causata dal virus HBV, l’epatite B è una malattia infettiva che si trasmette esclusivamente attraverso inoculazione di sangue infetto – attraverso aghi, siringhe o strumenti chirurgici contaminati – oppure un trapianto di organi infetti, o anche rapporti sessuali non protetti e da madre infetta al figlio durante la gravidanza, il parto o l’allattamento al seno. Il virus, replicandosi nelle sue cellule, attacca principalmente il fegato e le conseguenze possono essere molteplici tra cui ittero, cirrosi epatica, cancro al fegato e altro.
L’epatite B, presente soprattutto nei tossicodipendenti che facciano uso di aghi, è causa di epidemie in alcune parti dell’Asia e Africa ed è endemica in Cina. L’Organizzazione mondiale della sanità calcola che circa un quarto della popolazione mondiale, sia stato contagiato dal virus dell’epatite B e che circa 350 milioni di persone siano portatori del virus. Tra questi la prevalenza di malati varia dal 10% in Asia allo 0,5% negli Stati Uniti e in Europa settentrionale.
Il SEIEVA (Sistema epidemiologico integrato dell’epatite virale acuta) dell’Istituto superiore di sanità addebita una diminuzione dei casi di infezione (passati da 1 caso per 100.000 abitanti nel 2009 a 0,6 casi per 100.000 del 2015) all’introduzione dell’obbligatorietà della vaccinazione avvenuta nel 1991. Ma se si analizzano i grafici pubblicati dal Saieva si noterà che i casi di epatite b (soprattutto quelli della fascia di età 1-14) siano diminuiti a partire dal 1985 e cioè sei anni prima dell’introduzione dell’obbligatorietà’ del vaccino antiepatite B.
L’opportunità della vaccinazione antiepatite B è forse l’argomento più discusso oggi e innumerevoli sono gli studi che attestano o smentiscono la correlazione tra questo vaccino e l’insorgere di gravi malattie; nella relazione riportata nella quarta parte di questo libro una ampia documentazione e bibliografia in merito. Una questione, comunque merita di essere qui evidenziata: l’obbligo, previsto dalla legge 119/2017 e che non trova riscontro in altri paesi, di vaccinare (tre dosi nel primo anno di vita) contro l‘epatite B i lattanti. Una norma che ha suscitato condivisibili perplessità in molti che fanno notare la remota possibilità per un bambino così piccolo di ferirsi con aghi, siringhe o strumenti chirurgici infetti.
Vaccinazione anti Influenza da Haemophilus influenzae tipo B (meningite)
Il batterio Haemophilus influenzae tipo B (HiB o Emofilo) è causa di molte infezioni come la meningite batterica nei bambini nei primi 5 anni di vita e si trova normalmente nella gola o nel naso degli individui sani – il 3-5% dei bambini sani presenta costantemente questo germe a livello nasofaringeo – dove non causa alcun problema. Il batterio si trasmette per via aerea e se raggiunge un soggetto immunodepresso può diventare patogeno raggiungendo dalla gola altri organi dove causa malattie molto gravi; tra queste, la più perniciosa è la meningite.
È da evidenziare che la meningite e cioè l’infiammazione delle membrane che avvolgono il cervello e il midollo spinale, oltre che dall’ Haemophilus influenzae tipo B, può essere causata anche da numerosi agenti – altri batteri, virus, funghi, protozoi – per i quali non è prevista la vaccinazione obbligatoria.
La meningite causata dall’Haemophilus influenzae tipo B ha una incubazione dai 2 ai 5 giorni e in genere colpisce i bambini nei primi 5 anni di vita, viene curata con antibiotici che generalmente danno una buona risposta. In caso di esito nefasto possono manifestarsi gravi conseguenze anche permanenti come sordità, epilessia, idrocefalia e deficit cognitivi. Fino alla morte.
Secondo l’Istituto superiore di sanità, il numero dei casi di infezioni invasive, come meningiti e sepsi da Haemophilus influenzae rimane limitato. Sebbene si confermi un incremento dell’incidenza nel corso degli ultimi anni che va da 0,08 casi ogni 100.000 persone nel 2011, a 0,23 ogni 100.000 nel 2016, non è ancora chiaro se si tratta di variazioni dovute a normali fluttuazioni di frequenza di sierotipi H. influenzae non da vaccinazione, o a un uso maggiore della diagnostica molecolare che ha una sensibilità più alta della coltura. I casi dovuti al sierotipo B, gli unici prevenibili mediante vaccinazione, restano relativamente rari, infatti possiamo registrare nessun caso nel 2011, 6 casi nel 2012, 5 casi nel 2013, 7 casi nel 2014, 4 casi nel 2015 e 12 nel 2016. Complessivamente 10 di questi casi riguardano bambini vaccinati contro H. influenzae soddisfacendo i criteri per la definizione di fallimento vaccinale. Si considera fallimento una malattia invasiva da Hib insorta 2 settimane dopo la somministrazione di una singola dose in un bambino maggiore di 1 anno o alternativamente 1 settimana dopo 2 dosi in un bambino che ha meno di 1 anno.
Coloro che hanno criticato la vaccinazione contro il batterio Haemophilus influenzae tipo B fanno notare che il vaccino induce protezione contro 7 sierotipi mentre sono più di 25 i tipi più frequentemente rappresentati. Nel 2004, su 34 casi totali di infezione da Haemophilus solo otto di questi erano dovuti al tipo per il quale esiste il vaccino.
Inoltre hanno evidenziato che introdurre massicciamente un vaccino contro un sierotipo, può indurre la proliferazione e la maggiore aggressività degli altri sierotipi contro i quali non c’è vaccino. Un’evoluzione inattesa della vaccinazione di massa contro il meningococco di tipo C si sarebbe avuta in Spagna, dove, dopo un’estesa campagna vaccinale, è stata riscontrata la presenza di un tipo B molto virulento e si ipotizza possa essere derivato da una mutazione genetica del tipo C “vaccinabile”.
Vaccinazione contro il Morbillo
Secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, nel periodo tra il 1° gennaio 2017 e il 26 novembre 2017 sono stati registrati in Italia 4854 casi di morbillo. Tra questi casi l’88% degli ammalati non risultava vaccinato, il 6% aveva ricevuto una sola dose di vaccino e quattro furono i decessi. Purtroppo non sono noti o – detto più diplomaticamente non sono facilmente reperibili – i dati come l’età dei deceduti, se fossero stati vaccinati contro il morbillo, il loro stato di salute generale e altre informazioni che permetterebbero di valutare l’effettiva minaccia del morbillo in Italia. A tal riguardo, va detto che i media, nel silenzio delle autorità sanitarie, non hanno fatto un buon lavoro pubblicando, nel giugno 2017, articoli sensazionalistici su un bambino di sei anni morto per morbillo che, in realtà, era affetto da leucemia e quindi nella condizione di contrarre qualunque infezione.
Queste inaccorte campagne mediatiche spesso condite di allarmismi rischiano di avere un effetto controproducente, dando spazio a irrazionali prese di posizione contro ogni tipo di vaccinazione e mettendo in secondo piano riflessioni e proposte che ritengo, invece, degne di considerazione. Tra queste, (per quanto riguarda la vaccinazione contro il morbillo, divenuta obbligatoria, per i minori da zero a 16 anni, con la legge n. 119/2017 e somministrata in forma quadrivalente MPRV, (insieme ai vaccini antirosolia, antiparotite e antivaricella):
- L’effetto della vaccinazione antimorbillo è di più breve durata rispetto all’immunità conferita dalla malattia naturale e pertanto i casi di morbillo (anche tra coloro che, pur vaccinati, hanno perso l’immunità) tendono a spostarsi verso un’età più avanzata. È da evidenziare a tal riguardo che, rispetto al morbillo infantile, il morbillo dell’adulto è molto più pericoloso e spesso necessita di ricovero ospedaliero.
- Per quanto riguarda la sperata immunità di gregge che dovrebbe essere garantita dall’estendersi della copertura vaccinale antimorbillo, questa resta – appunto – una mera speranza. La risposta al vaccino contro il morbillo, infatti, varia da persona a persona in rapporto ai differenti genotipi dell’HLA, ai polimorfismi dei recettori delle citochine e alle molecole CD46 di membrana.
Vaccinazione contro la Parotite
Nel 2015 sono stati accertati in Italia 621 casi accertati di Parotite (infezione conosciuta anche con il nome di “orecchioni”). Secondo l’Istituto superiore di Sanità il vaccino antiparotite, comunemente disponibile in forma trivalente, associata ai vaccini antimorbillo e antirosolia, induce la comparsa di anticorpi specifici in più del 95% dei vaccinati – conferendo una immunità duratura nel tempo – e può provocare rari e lievi effetti collaterali quali infiammazioni nel punto dell’iniezione, modeste eruzioni cutanee e, raramente, convulsioni febbrili, trombocitopenia, reazioni allergiche di tipo anafilattico.
Alcuni studiosi, comunque, fanno notare che vi sia una sottostima dei danni collaterali del vaccino antiparotite che, tra l’altro, non garantisce una soddisfacente immunità. A tal riguardo è stato evidenziato come la parotite – un tempo confinata tra i bambini – ha conosciuto una crescente diffusione tra le persone adulte, anche vaccinate, dove i suoi effetti possono essere più gravi. E’ stata prospettata, a tal riguardo, la possibilità che alla base di epidemie di parotite in soggetti adulti vaccinati, vi possano essere particolari caratteristiche antigeniche del virus.
Vaccinazione contro la Pertosse
La pertosse (normalmente curata con antibiotici) non determina una immunità duratura; sembrerebbe comunque che l’individuo che ha avuto la malattia possa raggiungere una soddisfacente immunità da occasionali, e asintomatici, periodici contatti con la Bordetella Pertussis. I titoli anticorpali stimolati dalla vaccinazione scendono, invece, rapidamente. Questa inefficacia della vaccinazione potrebbe spiegarsi considerando che la via iniettiva della vaccinazione è diversa da quella naturale, che avvenendo attraverso le vie respiratorie, richiede anche la difesa delle immunoglobuline A.
A tal proposito il Center Control Disease – evidenziava come oggi il rischio pertosse, per tutte le fasce di età, potrebbe essere aumentato proprio a seguito della diminuita immunità tra i bambini e gli adolescenti che hanno ricevuto il vaccino; una tendenza segnalata qualche anno fa sulla rivista Pediatrics e, per quanto riguarda l’Italia da una pubblicazione dell’Azienda sanitaria di Firenze diffusa dal sito dell’Istituto superiore di sanità.
La vaccinazione antipertosse è molto diffusa ma la malattia non solo non è stata eradicata ma attualmente è in aumento. Lungi dal dipendere da una scarsa copertura vaccinale, ciò potrebbe essere attribuibile all’emergere di ceppi di Bordetella Pertussis sempre più resistenti al vaccino.
Vaccinazione contro la Poliomielite
Per la poliomielite non esistono cure ma solo trattamenti che, in parte, possono lenire gli effetti della malattia. L’ultimo caso di poliomielite in Europa si è verificato in Olanda nel 1992 in una comunità religiosa che rifiutava ogni tipo di vaccinazione e che risultò essere anche in condizioni di assoluto degrado igienico e sanitario. La malattia è endemica in alcuni paesi tra cui l’Afghanistan e il Pakistan, ed è apparsa recentemente in Siria dove ha reso paralitici almeno 17 bambini. Qui, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il virus responsabile dell’epidemia proviene da vaccini antipolio OPV che si somministrano per via orale, i quali contengono virus indeboliti che, moltiplicandosi per un breve periodo nell’intestino, determinano la crescita di anticorpi, e quindi l’immunizzazione. Laddove le condizioni igieniche sono carenti, e cioè dove c’è una guerra, i cVDPV, e cioè i virus trasmessi attraverso le feci di persone vaccinate, possono diffondersi spesso vaccinando passivamente la popolazione. In qualche caso se la catena oro-fecale si protrae nel tempo possono verificarsi nei virus trasformazioni genetiche che li rendono agenti di poliomielite paralitica.
In Italia, tra il 1939 e il 1962, venivano segnalati in media circa 3.000 casi di poliomielite paralitica all’anno, con un picco di 8.300 casi nel 1958. Le prime vaccinazioni contro la poliomielite risalgono alla fine degli anni ’50. Il 4 febbraio 1966 la Legge n. 51 rese obbligatoria la vaccinazione per i bambini entro il primo anno di età, mente altre disposizioni, come quelle del 4 febbraio 1967 e 25 maggio 1967, resero obbligatoria la vaccinazione nel primo anno di vita e la rivaccinazione nel terzo anno.
I risultati non si sono fatti attendere: gli ultimi due casi di bambini italiani colpiti da poliomielite risalgono al 1982; nel 1984 e nel 1988 due casi furono importati rispettivamente dall’Iran e dall’India. Negli anni 90, dopo aver constatato che 9 casi su 10 di paralisi conseguenti alla somministrazione di vaccino orale antipoliomielitico (OPV) si erano verificati dopo la prima somministrazione, si modificò il protocollo vaccinale introducendo per le prime due dosi il vaccino da virus intramuscolare antipoliomielite ucciso tipo Salk (IPV), lasciando l’OPV per le ultime due dosi. Nel 2002 l’Italia è stata dichiarata Polio-Free dall’OMS, insieme al resto dell’Europa Occidentale e ha abbandonato completamente il vaccino OPV per adottare l’immunizzazione di base con quattro somministrazioni di IPV. Solo in caso di accensione di un focolaio epidemico, laddove ora viene usato il vaccino IPV, si imporrebbe nuovamente l’uso dell’OPV, del quale viene comunque conservata una scorta per le emergenze.
In Italia la copertura vaccinale contro la poliomielite, che avviene entro i primi 24 mesi di età, si mantiene elevata, ed è attualmente del 93,4%.
Vaccinazione contro la Rosolia
Causata da un virus del genere Rubivirus, che si trasmette prevalentemente per via aerea, la rosolia non è una malattia grave manifestandosi con febbre ed eruzioni cutanee come piccole macchie rosa prima dietro le orecchie, poi sulla fronte e su tutto il corpo. Normalmente queste si risolvono nel giro di 2-3 giorni senza necessità di alcun trattamento. Tuttavia, se la malattia colpisce donne incinte non immunizzate dalla vaccinazione o da una precedente infezione, può mettere a repentaglio la vita del feto o determinarne menomazioni (sindrome da rosolia congenita o CRS) quali difetti della vista, sordità, malformazioni cardiache o anche ritardi mentali. Il neonato nato infetto dovrà essere messo in isolamento potendo propagare, per quasi un anno, il virus della rosolia.
Secondo l’Istituto superiore di sanità, nel periodo che va da gennaio del 2005 all’agosto del 2017 sono state segnalate 87 infezioni di rosolia congenita. Tre di queste venivano da madri che avevano dichiarato di essere state vaccinate contro la rosolia. Questa circostanza e i sempre più diffusi dubbi sulla capacità del vaccino antirosolia di garantire una immunità di lunga durata hanno spinto numerose associazioni, sbrigativamente etichettate come No-Vax, a proporre di non vaccinare indiscriminatamente tutti i neonati, inclusi i maschi, per i quali la rosolia non pone problemi. Le stesse associazioni chiedono che le ragazze che, con l’attuale strategia vaccinale rischiano di perdere l’immunità proprio in età fertile, siano sottoposte a un dosaggio specifico degli anticorpi di tipo IgG, vaccinando solo quelle che non risultano essersi ancora naturalmente immunizzate. In questo modo si ridurrebbero le vaccinazioni e quindi anche i rischi da vaccino, e si sarebbe certi di proteggere tutte le donne dal rischio di mettere al mondo figli con sindrome da rosolia congenita.
Vaccinazione anti tetanica
In Italia, secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità, tra il 2001 e il 2010 sono stati notificati 594 casi di tetano, di cui soltanto 22 quelli ad aver ricevuto una conferma di laboratorio e 34 che riguardavano persone già vaccinate, anche se alcune solo parzialmente, contro il tetano. Durante questi dieci anni i decessi sono stati 169.
Il vaccino antitetanico, anche se si arrivasse al 100% di copertura vaccinale, non produce alcun effetto gregge e garantisce una immunità per un periodo generalmente non superiore ai dieci anni, che però deve essere rafforzata in seguito da continui richiami. La fallace convinzione dell’immunità di lunga durata rischia di generare pericolose illusioni in persone che ritenendosi protette dal vaccino, in caso di ferite profonde non ricorrono al siero antitetanico, tra l’altro oggi quasi introvabile, o ad adeguati trattamenti della ferita.
Queste considerazioni hanno portato alcune associazioni a proporre alcune misure al posto della vaccinazione antitetanica, oggi indiscriminatamente obbligatoria a neonati per i quali il rischio tetano appare davvero improbabile. Queste proposte possono essere così sintetizzate.
Aggiornamento delle normative contemplate nella legge 292/1963, che prevedeva l’obbligatorietà della vaccinazione e dei periodici richiami per categorie a rischio, quali lavoratori agricoli, allevatori di bestiame, addetti alla nettezza urbana e altri, con verifica ogni 5 anni dei tassi plasmatici per accertarsi che la copertura anticorpale sia rimasta adeguata.
Presenza nelle farmacie e in tutti i pronto soccorso di siero antitetanico.
Capillare campagna di informazione rivolta principalmente alle persone anziane (471 dei 594 casi di tetano notificati si sono verificati tra ultra 64enni) sulla probabile insussistenza in essi di uno stato immunitario al tetano.
La disponibilità del singolo vaccino antitetanico oggi disponibile solo in modalità trivalente o esavalente.
Vaccinazione contro la Varicella
La varicella è una malattia molto contagiosa, causata dal Virus varicella-zoster. L’infezione si trasmette per via aerea e si manifesta con mal di testa e malessere generale, seguiti dalla comparsa, prima sul volto e poi sul resto del corpo di pustole coperte da vescichette contenenti un siero giallo. L’infezione determina una perenne immunità. In alcuni casi, tuttavia, il virus è rimasto latente nell’organismo e in situazione di calo delle difese immunitarie si riattiva dando origine all’ Herpes Zoster anche detto fuoco di Sant’Antonio.
Solitamente la varicella viene affrontata con antifebbrili, antistaminici e farmaci antivirali basati su Aciclovir.
La varicella è la malattia infettiva più frequente in Italia. I principali picchi di incidenza si osservano in primavera e a dicembre. La fascia di età più colpita è quella dei bambini tra 1 e 4 anni. Tranne eventuali infezioni prodotte dal grattarsi del bambino con le mani sporche, la varicella non comporta conseguenze. Se contratta all’inizio di una gravidanza, invece, può causare malformazioni fetali come lesioni oculari, alterazioni degli arti e ritardo mentale, mentre se contratta negli ultimi giorni della gravidanza può provocare nel 30% dei casi la morte del bambino.
La Legge 119/2017 ha reso obbligatorio per tutti i nati dal 2017 il vaccino contro la varicella, anche se questo non garantisce una immunità definitiva.
Ciò ha spinto non poche associazioni a proporre, così come per la rosolia, di non vaccinare indiscriminatamente tutti i neonati, inclusi i maschi, per i quali la varicella non pone problemi, e a sottoporre le ragazze che (anche per la varicella come per la rosolia con l’attuale strategia vaccinale rischiano di perdere l’immunità proprio in età fertile) a un dosaggio specifico degli anticorpi anti-VZV, vaccinando solo quelle che non risultano essersi ancora spontaneamente immunizzate. In questo modo si ridurrebbero le vaccinazioni e i rischi da vaccino e si sarebbe certi di proteggere tutte le donne dal pericolo di mettere al mondo figli con sindrome da varicella congenita.
Pneumococco
Gli adulti immunocompromessi e coloro che hanno più di 65 anni di età presentano un rischio aumentato di sviluppare malattia pneumococcica invasiva.
Tutti gli adulti di età ≥ 65 anni dovrebbero ricevere una dose unica di PCV13 e una dose di PPSV23. Chi in precedenza non ha ricevuto nessuno dei due vaccini dovrebbe vaccinarsi prima con PCV13 e, dopo almeno un anno, con PPSV23.
Epatite A
Il vaccino HepA è raccomandato per gli adulti con un rischio medico, occupazionale e comportamentale di infezione o senza fattori di rischio, ma che desiderano protezione. Le indicazioni mediche sono i distrurbi della coagulazione e la malattia epatica cronica. Le indicazioni occupazionali sono lavoro con l’HAV in laboratorio o con primati con infezione da HAV. Gli adulti con rischi comportamentali sono coloro che assumono sostanze illecite (per via iniettiva e non iniettiva) e gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini.
Vaccini per il Meningococco
La vaccinazione di routine MenACWY è raccomandata per gli adolescenti tra gli 11 e i 18 anni. Due dosi somministrate a distanza di almeno 8 settimane e una dose di richiamo ogni 5 anni sono raccomandate per gli adulti con infezioni da HIV.
Negli Stati Uniti, il sierogruppo B causa circa il 60% di tutti i casi di malattia meningococcica nei bambini di età < 5 anni e circa il 50% dei casi nei giovani adulti di 17-22 anni.
Il vaccino MenB è raccomandato per gli adulti con asplenia anatomica o funzionale, per le persone con deficit persistente di componenti del complemento.
Papillomavirus
Molto rilevante è poi il ruolo degli Human Papilloma viruses (HPV); questi sono agenti virali che sono messi in correlazione con il carcinoma del collo dell’utero, in particolare i tipi 16 e 18 sono considerati senz’altro carcinogenici per la specie umana. La prevalenza di questa infezione é molto alta negli adulti sessualmente attivi ed aumenta con il numero di partners sessuali (2).
L’HPV è responsabile dell’80% dei carcinomi del collo dell’utero che si verificano nei paesi industrializzati e nel 90% in quelli in via di sviluppo (3). Questo vuol dire che sono attribuibili 70.000 nuovi casi di carcinomi del collo dell’utero all’HPV nei paesi industrializzati e 260.000 casi nei paesi in via di sviluppo. E’ quindi un tumore che “si trasmette” per via sessuale. Gli HPV possono anche causare carcinomi squamosi della vulva, del pene e dell’ano (4).
Il fattori di rischio epidemiologico per il papilloma virus sono ormai ben stabiliti dalla letteratura.’ Ci interessano in particolare le proteine E6 e E7 perché sono quelle in grado, durante il processo di trasformazione maligna, di bloccare gli oncosoppressori. Allora nella interpretazione dei vari stadi della cancerogenesi cervicale è importante stabilire che esistono almeno due modalità: la prima legata all’ effetto di papilloma virus normali, agenti di malattie sessualmente trasmissibili, e invece quella legata a papilloma virus che hanno il DNA responsabile di dettare un codice di malignità, come il tipo 16, il 18, il 31 ed altri (5) e come passaggi da uno stadio all’ altro della trasformazione, possono essere catalizzati, attivati, da altri fattori, come 1′ herpes simplex virus, cioè HSV-2, il fumo, gli ormoni, i contraccettivi ecc…(6).
Oggi è possibile immunizzarsi contro il cancro del collo dell’utero, un vaccino preparato contro il virus del papilloma tipi 16 e 18 mostra di funzionare ed è in commercio in USA dal 2006. Lo hanno sperimentato su 12 mila donne tra i 16 e i 26 anni di 13 paesi. Lo studio è durato quasi due anni: nel gruppo di donne che non hanno ricevuto vaccino, ma un placebo, le lesioni precancerose sono state 21, nell’ altro sono state zero. La possibilità del vaccino apre nuove prospettive nella prevenzione del cancro della cervice uterina, specie nelle zone più povere del mondo, dove programmi di diagnosi precoce con il Pap test sono difficili (4).
I virus dell’epidemia influenzale e le vaccinazioni
Per l’emergenza creata dall’epidemia di “influenza dei maiali” in Messico è stato corretto non creare allarmismi essendo vittime di cattive informazioni (2009). La possibilità che il virus arrivi in altre parti del mondo è reale come per tutti i tipi di virus influenzali (7). Affinché un ceppo abbia un’ampia distribuzione, le sue caratteristiche antigeniche devono garantire che sfugga alla neutralizzazione degli anticorpi dell’ospite e della popolazione circostante. Quindi lo scoppio di una epidemia accadrà con quei ceppi che hanno antigeni dominanti che si adattano alla carenza, o meglio, alle assenze degli anticorpi nella popolazione (8). Sembra, in conclusione, che il virus dell’influenza mostri un’abilità e un’attitudine alla sopravvivenza basate sulla possibilità di emergere di nuovi modelli che permettano di confondere il virus facilmente attraverso popolazioni ancora parzialmente immuni a precedenti forme antigeniche. Secondo questa visione, i cambiamenti nell’influenza A possono essere progettati in un unico significato, nel contesto di un principio e di un progresso evolutivo, da Burnet detto deriva o corrente immunologica (9). I farmaci antivirali (inibitori della neuraminidasi, recettore della superficie virale) dovrebbero essere assunti entro 48 ore dalla comparsa dei sintomi dell’influenza e per i soggetti che hanno avuto uno stretto contatto con le persone infette dal virus dell’influenza. La vaccinazione contro l’influenza è il metodo più efficace per prevenire la malattia. Dal momento in cui troviamo l’isolamento di un nuovo virus influenzale, dobbiamo attendere la preparazione di un nuovo vaccino specifico che sarà pronto per la prossima stagione influenzale (7).
Potenziale nuovo virus dell’influenza epidemica
In tutta la Cina, il virus che potrebbe scatenare la prossima pandemia è già in circolazione. È un’influenza aviaria chiamata H7N9 e, fedele al suo nome, infetta soprattutto pollame. Ultimamente, tuttavia, è iniziato a passare più facilmente dai polli all’uomo – cattive notizie, perché il virus è un killer. Durante un picco recente, l’88% delle persone infettate ha avuto la polmonite, tre quarti sono finite in terapia intensiva con gravi problemi respiratori e il 41% è morto.
Chi deve essere vaccinato
Il vaccino antinfluenzale è raccomandato nei bambini di età superiore ai 6 mesi e negli anziani, sopra i 65 anni. Anche le persone a maggior rischio di sviluppare complicanze dovrebbero essere sottoposte al vaccino, comprese le persone alloggiate in case di cura, donne incinte, persone con asma, broncopneumopatia cronica ostruttiva, malattie cardiache, epatiche e renali.
Conclusioni
La scoperta di gravi malattie respiratorie con la circolazione del virus dell’influenza H1N1 rappresenta il potenziale impatto pandemico e quindi l’importanza di ridurre la diffusione dell’infezione tramite vaccinazione. Dall’anno scorso c’è stata una sorprendente virulenza dell’influenza dell’anno, pertanto è cruciale indirizzare gli sforzi per un vaccino universale contro l’influenza dopo un secolo dell’influenza pandemica letale del 1918 (10).
Prof. Giulio Tarro
Primario emerito dell’Azienda Ospedaliera “D. Cotugno”, Napoli
Chairman della Commissione sulle Biotecnologie della Virosfera, WABT – UNESCO, Parigi
Magnifico Rettore dell’Università Tommaso Moro U.P.T.M., Roma
Presidente della Fondazione T. & L. de Beaumont Bonelli per le ricerche sul cancro, Napoli