C’è una nuova “fucina” in cui forgiare le armi contro il più aggressivo dei tumori del polmone: si tratta di un laboratorio vivente, fatto di cellule umane, che riproduce i meccanismi molecolari della malattia, per studiarne l’insorgenza e la progressione, oltre che la risposta alle terapie. L’hanno prodotto i ricercatori della Cornell University di New York, coltivando e manipolando cellule staminali embrionali umane fino a riprodurre in provetta il tumore polmonare a piccole cellule, il più aggressivo nonché il più diffuso tra i fumatori. Il risultato, pubblicato sulla rivista Journal of Experimental Medicine, apre nuove prospettive per la ricerca oncologica su questo spietato killer, ribattezzato come “tumore recalcitrante” per la sua ostinata resistenza alle terapie. Le “radici” molecolari della malattia non sono state ancora individuate con precisione, ma secondo diversi studi sarebbero da cercare nelle cellule neuroendocrine (Pnec), che servono a regolare il flusso dell’aria nei polmoni. Nessuno finora era riuscito a ottenere queste cellule in laboratorio partendo da staminali embrionali umane: i ricercatori della Weill Cornell Medicine hanno centrato l’obiettivo bloccando la cascata di segnali generata dal gene Notch, dopo che le staminali avevano iniziato a differenziarsi in cellule progenitrici dei polmoni. Le cellule neuroendocrine cosi’ ottenute in provetta sono state utilizzate per studiare il ruolo giocato nell’insorgenza della malattia da due geni (gli oncosoppressori RB e TP53) che normalmente frenano il tumore e che invece risultano mutati nella gran parte dei pazienti. L’inibizione di RB, unita a quella del gene Notch, ha portato a un’espressione del Dna molto simile a quella che si verifica negli stadi iniziali del tumore polmonare. L’inibizione di TP53, invece, ha portato le cellule a esprimere geni che promuovono la proliferazione e prevengono la morte cellulare. Nell’insieme, questi risultati sembrano indicare che i due oncosoppressori mutati agiscono in maniera indipendente nelle fasi iniziali della malattia. “Il nostro sistema dovrebbe permettere nuove ricerche sulla progressione di questi tumori iniziali verso la forma invasiva che ricorda i tumori piu’ aggressivi trovati nei pazienti”, spiega il ricercatore Harold Varmus. “In questo modo sarà possibile testare le cellule tumorali nei diversi stadi di sviluppo per verificare la loro suscettibilità e resistenza alle terapie”.