La riforma universitaria introdotta nel 2010 con la legge Gelmini (L240/2010), ha profondamente ridisegnato il sistema della ricerca italiano. Nel nome dell’uso efficiente dei fondi pubblici, i finanziamenti per la ricerca hanno subito tagli severi, il turnover è stato fortemente ridimensionato ed è stato messo in moto un complesso sistema di valutazione della ricerca, gestito dalla neonata Agenzia per la Valutazione della Ricerca e dell’Università (ANVUR). Com’è noto, spina dorsale di questo sistema sono gli indicatori bibliometrici che, da quel momento, svolgono un ruolo fondamentale nell’accademia. Non soltanto sono usati per valutare la performance dei dipartimenti e degli atenei, ma sono entrati anche nelle procedure di reclutamento e promozione dei ricercatori. Ad oggi, superare le cosiddette “soglie bibliometriche”, che nelle scienze dure sono calcolate sulla base di citazioni, pubblicazioni e h-index, è condizione necessaria per ottenere l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) nei settori scientifici.
Tuttavia, nonostante i pesanti tagli ai finanziamenti e al personale, la ricerca italiana negli anni post-riforma ha compiuto una sorta di miracolo: il suo impatto, misurato in termini di citazioni e produttività, infatti, anziché diminuire è addirittura aumentato.
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