Sotto stress, le cellule degli uomini programmano la loro autodistruzione, mentre quelle delle donne sono in grado di attivare meccanismi di sopravvivenza. Lo rivela lo studio di un gruppo di ricercatori del Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’ISS, pubblicato sulla rivista internazionale Cell Death and Disease, in collaborazione con un team di scienziati dell’Università di Bologna e del CNR di Roma. In particolare, hanno preso parte allo studio: Anna Ruggieri, Simona Anticoli, Paola Matarrese e Walter Malorni (ISS) Stefano Salvioli e Claudio Franceschi (Università di Bologna), Paolo Tieri (CNR di Roma). Grazie al lavoro di ricerca, la speciale “task-force” di esperti è riuscita ad identificare alcuni componenti molecolari che sono alla base della diversa risposta delle cellule maschili (XY) e femminili (XX) agli stress, capaci di attivare i processi di morte cellulare (apoptosi) o di indurre meccanismi protettivi (autofagia). “In generale – rivela Paola Matarrese – le cellule maschili (XY) rispondono allo stress andando incontro a morte programmata (apoptosi), una forma di suicidio cellulare regolato; mentre le cellule femminili (XX), in risposta allo stesso stress, attivano meccanismi di sopravvivenza (autofagia) e resistono alla morte cellulare”. “Alla base di queste differenze – spiega Anna Ruggieri – potrebbe essere coinvolto un microRNA (miR548am-5p) che, proprio per questo, è stato oggetto del nostro studio”. I microRNA sono corte sequenze di materiale genetico che regolano l’espressione dei geni, e sono pertanto in grado di cambiare il destino delle cellule, modificandone le funzioni, la specializzazione e la capacità proliferativa. E’ noto che i microRNA hanno un ruolo di rilievo in molte malattie, dai tumori alle malattie infettive e autoimmuni, nelle quali si sono osservate alterazioni dei loro livelli di espressione. Inoltre, ogni microRNA è in grado di regolare numerosi geni, generando potenzialmente un effetto a cascata di grandi proporzioni. I microRNA sono presenti anche sui cromosomi sessuali e in particolare sul cromosoma X. Le cellule delle donne hanno due cromosomi X, mentre le cellule degli uomini hanno un solo cromosoma X e un cromosoma Y. Per mantenere un equilibrio nel numero di geni e di proteine, nelle cellule femminili uno dei due cromosomi X rimane inespresso, viene cioè inattivato. Alcune porzioni del cromosoma X sfuggono però all’inattivazione. Questo significa che, le donne, rispetto agli uomini, hanno un numero doppio di quei geni che si trovano proprio nelle zone del cromosoma X sfuggite all’inattivazione. Partendo da un’analisi bioinformatica, il gruppo di ricercatori ha selezionato alcuni microRNA localizzati proprio in quelle regioni del cromosoma X che sfuggono all’inattivazione, identificandone alcuni che sono quindi espressi maggiormente nelle cellule femminili. I ricercatori hanno così verificato sperimentalmente che il miR548am-5p era presente in cellule femminili umane (fibroblasti di cute) a livelli cinque volte maggiori rispetto alle stesse cellule maschili ed era direttamente coinvolto nella regolazione del destino cellulare (apoptosi o sopravvivenza). “In particolare, l’alto livello del miR548am-5p nelle cellule femminili sarebbe responsabile – prosegue Ruggieri- della maggiore resistenza a diversi tipi di stress, attraverso la regolazione di alcuni geni, come Bax e Bcl2, coinvolti nei meccanismi di morte mediata dai mitocondri. La scoperta che non solo geni, ma anche elementi regolatori della loro espressione siano presenti in quantità diverse tra uomo e donna – conclude Matarrese – dimostra ancora una volta come la biologia dei due sessi sia fondamentalmente diversa e come tale vada affrontata. Una delle importanti ricadute di questa scoperta è dunque il potenziale utilizzo di questi microRNA come biomarcatori di quelle malattie che colpiscono i due sessi in maniera diversa, oltre che come nuovi bersagli terapeutici sesso-specifici”. L’80% dei pazienti con malattie autoimmuni (per esempio, lupus, artrite reumatoide, tiroidite di Hashimoto) sono donne. Alcune malattie neurologiche, come il Parkinson e l’Alzheimer, mostrano significative differenze di incidenza nei due sessi: il Parkinson colpisce più gli uomini e l’Alzheimer maggiormente le donne. Le donne hanno una maggiore incidenza di fratture di femore e sono a maggior rischio di depressione. Gli uomini, invece, hanno un rischio maggiore di mortalità per cancro e di essere colpiti da malattie cardiovascolari in più giovane età. Il genere influenza anche la sintomatologia di molte patologie. Per esempio, nel caso dell’infarto del miocardio, i sintomi possono essere diversi nei due sessi determinando talvolta un ritardo nella diagnosi, soprattutto nelle donne. Allo stesso modo, il cancro del colon nella donna si localizza più frequentemente nel colon ascendente, ha meno sintomi all’esordio e si manifesta successivamente con caratteri di urgenza. A fronte di tante differenze le donne sono spesso penalizzate nelle cure, poiché i trial clinici sono effettuati quasi esclusivamente negli uomini e le conoscenze sulla diversa risposta alle terapie nei due sessi spesso non sono applicate nella pratica clinica. Ne consegue una minore appropriatezza delle cure nel sesso femminile, almeno per alcune malattie, rispetto a quello maschile.