Anche in Italia potrebbe arrivare, ben presto, il “via libera” ai contenitori portati da casa nei supermercati. Qualcosa, infatti, inizia a muoversi. Pensate, come informa l’Associazione dei Comuni Virtuosi, in sei punti vendita della catena Sigma in provincia di Modena e Bologna, si consentirà ai clienti di acquistare prodotti freschi al banco con contenitori riutilizzabili portati da casa. Anche se paragonabile ad una piccola “goccia nel mare”, tale esperimento ha quantomeno il merito di aprire una discussione importante sulle procedure che garantiscono la sicurezza alimentare nel nostro Paese. Un dibattito che vede schierati in prima fila, e non potrebbe essere diversamente, anche i Biologi. “Indubbiamente si tratta di una buona idea, tutto sommato anche semplice da gestire e che mi trova d’accordo, ma solo a patto che prima si riesca a maturare, anche a livello culturale, la giusta risposta agli inevitabili problemi che la diminuzione degli imballaggi industriali provocherà, inevitabilmente, sul mercato e, a pioggia, sul consumatore” è il pensiero della dott.ssa Stefania Papa, consigliera dell’Ordine nazionale dei Biologi (dove è delegata proprio in materia di Sicurezza Alimentare) e delegata regionale per Umbria e Toscana per l’ONB. Per la Papa “è necessario riflettere e creare innanzitutto un substrato, una sorta di rivoluzione culturale che si traduca nella giusta e corretta dose di informazioni da trasferire al consumatore“. Quando parliamo di sicurezza alimentare, prosegue, infatti, la consigliera “ciascuno di noi è chiamato ad imparare a conoscere i propri limiti di responsabilità. Questo perché la ‘sicurezza alimentare’ non è solo sinonimo di ‘igiene’ ovvero di saper conoscere e/o tipizzare la quantità e la qualità dei microrganismi presenti nel cibo che viene venduto o somministrato. Al di là dei pericoli di carattere microbiologico, occorre infatti considerare anche le variabili di tipo chimico e fisico che sono spesso correlabili proprio con l’uso delle cosiddette buone prassi di lavorazione (Good Manufacturing Practise) il che ci riporta, inevitabilmente, al discorso dei contenitori“. “La legge – aggiunge la rappresentante dei Biologi – ci impone criteri di sicurezza alimentare che vanno intesi a salvaguardia del consumatore. E per questo, noi Biologi in primis, siamo chiamati a vigilare sull’intero processo e sul sistema produttivo in generale della filiera alimentare, dalla a alla zeta”. E’ ovvio, prosegue ancora la consigliera dell’ONB “che tale modus operandi reca in sé responsabilità che restano a carico dell’OSA (operatori del settore alimentare, ndr) laddove variabili esterne non più governabili entrano poi a far parte del sistema”. Ma “il confine di responsabilità va esteso a chi, sul piano regolatorio, a tutt’oggi non risulta ancora coinvolto né sufficientemente informato sulla corretta gestione dell’imballaggio destinato al riuso. Capita spesso, infatti, di non leggere le etichette sui MOCA (materiali ed oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti, ndr) perché, semplicemente, non si sa come leggerle. E chi, meglio del Biologo, può dare una mano, in tal senso, non solo nel coadiuvare la lettura ma anche nella fase di progettazione della stessa (e nella relativa sperimentazione dell’etichettatura e della conformità, nonché dell’idoneità tecnologica dell’imballaggio, che ne consegue, in ambito industriale e non solo in quello), per far sì che questo non accada mai più?”.
Biologi, dunque. Ma non solo. “Torno a ribadirlo: occorre che si lavori in ambito multidisciplinare, tutti quanti assieme, Biologi, ma anche Chimici, Tecnologi alimentari, altri addetti ai lavori ed operatori del settore alimentare e degli imballaggi in generale, su quella che è la corretta valutazione del rischio da far percepire, pragmaticamente, al consumatore”. “Solo così il riutilizzo, anche in materia di imballaggi, non sarà più un’affascinante chimera ma una stupenda realtà” conclude la consigliera dell’ONB.
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