Il primo ministro britannico Boris Johnson li ha definiti un “punto di svolta”. Stiamo parlando dei test per la ricerca degli anticorpi al Covid-19, un tipo di analisi che ha catturato l’attenzione di tutto il mondo per il potenziale che potrebbero avere, di aiutare la vita a tornare alla normalità rivelando chi è stato esposto e dunque potrebbe essere immune, al nuovo coronavirus. Lo scrive Nature, in un articolo pubblicato lo scorso 18 aprile, nel quale si rivela come decine di aziende biotecnologiche e laboratori di ricerca si siano affrettati a produrre esami del sangue. E che i governi di tutto il mondo hanno acquistato milioni di kit, nella speranza di poter guidare le decisioni su quando allentare le misure di distanziamento sociale e riportare così le persone al lavoro. Alcuni, scrive Nature, hanno persino suggerito che i test potrebbero essere utilizzati come “passaporto di immunità”, dando a chi lo “possiede” l’autorizzazione ad interagire di nuovo con gli altri. “Molti scienziati condividono questo entusiasmo. L’obiettivo immediato è un test che sia in grado di dire all’assistenza sanitaria ed agli altri lavoratori essenziali se sono ancora a rischio di infezione”, ha affermato David Smith, virologo clinico dell’Università dell’Australia occidentale a Perth. Ma come con la maggior parte delle nuove tecnologie, ci sono segni che le promesse dei test anticorpali COVID-19 sono state esagerate e le loro sfide sottovalutate. I kit hanno invaso il mercato, ma la maggior parte non è abbastanza precisa per confermare se un individuo è stato esposto o meno al virus.