Roma, 19 ottobre 2020 (Agonb) – La capacità di conservare brevemente le informazioni nella nostra mente è al centro di quasi tutto ciò che facciamo. E, come mostra un nuovo studio della Rockefeller University, pubblicato su Cell e svolto in collaborazione con la Cornell University, i processi cerebrali alla base di questa abilità sono più complessi di quanto comunemente apprezzato.
I ricercatori hanno presentato prove a sostegno della circostanza per cui la memoria di lavoro non è confinata in modo ordinato a un’area del cervello, ma richiede l’attività sincrona di almeno due aree affinché venga mantenuta. I risultati sfidano i presupposti di lunga data secondo cui la memoria di lavoro è il lavoro di solo una parte del cervello: è stato individuato un gene che codifica il Gpr12, un “recettore orfano” (così chiamato perché non è chiaro quale molecola nel cervello lo attivi).
Con loro sorpresa, i ricercatori hanno scoperto che questi recettori non si trovano nella corteccia prefrontale, la presunta sede della memoria di lavoro, ma nei neuroni molto più lontani, nel talamo. Le registrazioni dell’attività cerebrale hanno rivelato che questi recettori aiutano a stabilire un’attività sincrona tra il talamo e la corteccia prefrontale durante le attività di memoria di lavoro. (Agonb) Cdm 11:30.