Roma, 2 novembre 2020 (AgOnb) – ‘’L’incapacità di pensare positivo può pesare su un malato di cancro come una seconda malattia’’. Cosi affermava la scrittrice e giornalista statunitense Barbara Ehrenreich. L’effetto delle forme pensiero sulla nostra vita è evidente, in base al principio secondo cui l’energia segue il pensiero, ciò che creiamo a livello mentale, magari inconsapevolmente, ha un effetto sul piano materiale, condizionando la nostra vita e quella delle persone che ci circondano.
Se pensiamo alla storia ed alle grandi trasformazioni avvenute, ci accorgiamo che dei semplici pensieri hanno creato dei cambiamenti importantissimi, come la libertà, la fraternità, l’uguaglianza ed alle trasformazioni che hanno apportato nella storia. Il pensiero è una forza straordinaria che ci permette di compiere delle opere grandiose, occorre solo imparare progressivamente ad utilizzarlo al meglio per scopi elevati, come nel caso della lotta al cancro. Per fortuna c’è chi riesce a concretizzare i pensieri che sviluppa, come nel caso del progetto Car-T.
CAR-T, Chimeric Antigen Receptor T-cell, è una tecnologia in grado di riprogrammare i linfociti T di modo che possano combattere il tumore dall’interno. Tale tecnologia rappresenta una speranza concreta per quei malati che non rispondono alle cure convenzionali e l’arrivo sul mercato rappresenta indubbiamente un’importante evoluzione della medicina verso approcci sempre più personalizzati, aprendo così nuovi scenari e percorsi di cura. Il progetto nasce dalla collaborazione tra l’Osservatorio Terapie Avanzate e Gilead Science, si svilupperà nell’arco di tre anni ed è stato finanziato da un bando istituito dalla Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica (FRRB) della Regione Lombardia per tre milioni di euro. Per ampliare la platea di pazienti che possono beneficiare di questo trattamento, i ricercatori intendono sfruttare come fonte delle cellule da trasformare in cellule CarT il sangue del cordone ombelicale. È stato infatti dimostrato che tali cellule T sono poco o per nulla immunogeniche e quindi si possono utilizzare anche con una compatibilità minima. L’obiettivo finale è di istituire una banca di cellule CarT da sangue del cordone ombelicale per consentire un trattamento rapido dei pazienti che ne hanno bisogno. Alcune analisi preliminari e simulazioni hanno evidenziato che 30 unità di sangue del cordone ombelicale potrebbero essere sufficienti per trattare il 70% dei pazienti eleggibili al trattamento.
Attualmente le piattaforme per la produzione delle cellule CarT sono fondamentalmente manuali. Il primo step del progetto, diretto da Martino Introna dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo prevede lo sviluppo di una tecnologia per automatizzare il più possibile il processo, in modo da renderlo sempre meno operatore-dipendente e sempre più a circuito chiuso al fine di ottimizzare i tempi e la sicurezza dell’iter. Il secondo step prevede la valutazione dell’attività terapeutica, della distribuzione nell’organismo e della sicurezza delle cellule CarT derivate da sangue del cordone ombelicale in modelli preclinici in vivo. Per verificare se tali cellule si comportano come quelle derivate dal sangue periferico dal punto di vista della migrazione e dell’efficacia antitumorale. Si procederà quindi con la preparazione a Monza e a Bergamo di una banca di cellule CarT derivate da sangue del cordone ombelicale Hla-compatibili rispettando gli standard Gmp. Infine si preparerà un dossier che descrive le procedure di produzione e controllo di qualità del farmaco cellulare, nonché il protocollo dello studio di fase 1/2 nel quale dovrebbero essere testate queste cellule. Il dossier verrà quindi inviato all’Aifa, che su questa base potrà autorizzare la partenza dello studio. (AgOnb) Matteo Piccirilli 9:30