L’emergenza COVID-19 mette in discussione la preparazione dei Paesi europei alle pandemie. È stato affermato che questa crisi sia il risultato della fusione di un’epidemia infettiva e di una serie di condizioni sottostanti, comprese le malattie non trasmissibili e la fragilità, che riconoscono le disuguaglianze socioeconomiche come fattori predisponenti o addirittura prognostici cruciali. Inoltre, il COVID-19 è probabilmente originato da una zoonosi endemica e potrebbe essere considerato alla luce del disequilibrio degli ecosistemi secondo un “One Health Approach”. L’inquinamento ambientale sembra aver peggiorato i focolai epidemici di COVID-19, poiché quelle aree che hanno registrato i più alti livelli di inquinamento atmosferico sembrano aver subito le peggiori conseguenze della pandemia.
In questa prospettiva, Richard Horton ha sostenuto su Lancet come “dobbiamo andare oltre una visione biomedica per risolvere questa sindrome”, sottolineando che Fran Baum e Sharon Fiel abbiano sostenuto la necessità di un “vaccino sociale” oltre a quello biologico (affrontare i determinanti economici, ambientali e sociali della salute) per superare l’attuale crisi globale. Ciò significa che una nuova visione deve ispirare i responsabili politici e l’opinione pubblica. Secondo Horton, ci sono anche alcuni motivi di speranza, poiché nel bel mezzo della crisi del COVID-19, il National Health Service (NHS) del Regno Unito si è impegnato a diventare il primo sistema sanitario a emissioni zero al mondo entro il 2040, cosicché “la salute possa aprire la strada a un pianeta più verde e più sicuro”.
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