Roma, 13 gennaio 2021 (AgOnb) – Pubblicata dal Journal of Alzheimer’s Disease, una ricerca in grado di aprire la strada a nuove metodiche di analisi del morbo di Alzheimer, che aiuterà a individuarne l’insorgenza grazie all’intelligenza artificiale. Lo studio, condotto dai ricercatori dell’Università di Chieti-Pescara, l’Irvine University e l’Università della California, si è avvalso di un’enorme banca dati internazionale su migliaia di pazienti affetti da malattie neurodegenerative e un modello di Machine Learning messo a punto da una squadra di giovani romani della biotech di ASC27, startup che porta l’intelligenza artificiale nei laboratori. Coordinato dal prof. Stefano Sensi, direttore del Dipartimento di Neuroscienze, Imaging e Scienze Cliniche dell’Università di Chieti, e dal Centro di Studi e Tecnologie Avanzate, lo studio ha indagato i meccanismi che concorrono a produrre l’Alzheimer. Lo studio si è incentrato sul peso che hanno fattori presenti fuori e dentro il cervello nel produrre la transizione che porta da una condizione iniziale e potenzialmente trattabile quale il deficit cognitivo lieve alla demenza. Opportunamente identificati, permetterebbe di intervenire in anticipo sui fattori di rischio che determinano la malattia. “L’algoritmo che abbiamo messo a punto insieme ad Asc27 – spiega Stefano Sensi – ha analizzato centinaia di dati di RM cerebrale, neuropsicologici, liquorali ed ematici raccolti da una coorte di centinaia di pazienti. L’obiettivo era capire quali di questi fattori avesse più peso per allenare la macchina nell’identificare fra i soggetti Mci chi fosse destinato ad avviarsi alla demenza. La sorpresa è stata che l’intelligenza artificiale, con un approccio che si muove senza ipotesi a priori e dunque senza i “pregiudizi” dell’intelligenza umana, ha evidenziato delle associazioni fra variazioni di fattori extracerebrali come, per esempio, i livelli di alcuni acidi biliari e la possibilità di sottostanti processi neurodegenerativi. Questo è in linea con un fenomeno che sta sempre di più affascinando i neuroscienziati e cioè quello della “gut-brain connection”, un legame stretto, anche da un punto di vista patogenetico, fra sistema nervoso e apparato gastrointestinale”. La ricerca apre scenari interessanti ed a oggi ancora largamente inesplorati, che hanno potenziali importanti implicazioni diagnostiche e terapeutiche. (AgOnb) Mmo 11:00