Roma, 29 giugno 2022 (Agonb) – Il tasso di mortalità globale per malattia di Alzheimer e altre demenze sta aumentando considerevolmente, anche più del tasso di morte per malattie cardiache.
Molti studi dimostrano che gli stessi comportamenti di stile di vita sano che possono aiutare a migliorare la salute del cuore di una persona possono anche preservare o addirittura migliorare la salute del cervello. Sta diventando sempre più evidente che la riduzione dei fattori di rischio di malattie vascolari può fare davvero la differenza nell’aiutare le persone a vivere vite più lunghe e più sane, libere da malattie cardiache e cerebrali
Ci sono anche differenze significative nel genere, razza/etnia e stato socioeconomico delle persone che hanno maggiori probabilità di sviluppare malattie cerebrali e demenza, un’indicazione che anche i determinanti sociali della salute svolgono un ruolo.
Il progetto Alzheimer’s Value Europe (PAVE) ha pubblicato un importante articolo sulla rivista scientifica “Alzheimer’s & Dementia” sulla diffusione dei casi di persone affette da Alzheimer nel mondo, dati che saranno di particolare importanza per i Sistemi Sanitari al fine di predisporre servizi adeguati e allo stesso tempo prepararsi all’erogazione di terapie attualmente in sperimentazione.
Lo studio suggerisce che il 22% della popolazione mondiale con età superiore ai 50 anni – soprattutto donne – potrebbe beneficiare di strategie di prevenzione che includono interventi e trattamenti in grado di bloccare o almeno rallentare la progressione verso la malattia di Alzheimer. Si mette in evidenza che il numero di persone a rischio di sviluppare demenza è ampiamente sottostimato e oggi conta circa 416 milioni di casi a livello globale. Lo studio mostra inoltre un panorama di possibilità legate alla prevenzione, incluse tutte le misure e gli sforzi volti a favorire il benessere del cervello al fine di allungare il periodo di totale normalità delle funzioni cognitive per il paziente e quindi la sua abilità di vivere in modo indipendente.
Unico italiano nel gruppo di autori dell’articolo è il professor Paolo M. Rossini, direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’IRCCS San Raffaele, che dichiara: “E’ evidente che oggi si arriva troppo tardi a una diagnosi di demenza e che non sono stati ancora messi a punto metodi per la precoce identificazione degli stadi iniziali (prodromici di malattia) che sono proprio quelli che maggiormente si prestano e si presteranno a interventi preventivi, terapeutici e riabilitativi. Le implicazioni dello studio sono molto rilevanti e avranno un significativo impatto sull’organizzazione assistenziale, sulla ricerca clinica in Europa, sulle attività delle autorità regolatorie per il farmaco e – cosa più importante – sui malati e le loro famiglie, rappresentando una base e un punto di partenza per future strategie di contrasto contro questa terribile malattia”. (Agonb) Matteo Piccirilli 9:00