Roma, 15 luglio 2022 (Agonb) – La fibrillazione atriale è caratterizzata da un’alterazione del ritmo del cuore, che risulta molto rapido e irregolare, con formazione di coaguli in grado di arrivare al cervello che possono provocare i cosiddetti ictus “cardioembolici”. Attualmente sono disponibili terapie efficaci a base di anticoagulanti, che riducono il rischio di ictus di circa 2/3. Il “Progetto Fai: la Fibrillazione atriale in Italia”, coordinato da Antonio Di Carlo dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-In), ha condotto una nuova ricerca pubblicata su Aging Clinical and Experimental Research (Springer Nature), che ha permesso di valutare la terapia anticoagulante nei diversi sottotipi di questa aritmia: fibrillazione atriale persistente, permanente e parossistica, caratterizzata da episodi che possono durare fino a sette giorni. “Lo studio ha esaminato un campione rappresentativo della popolazione italiana anziana costituito da 6.000 ultrasessantacinquenni, assistiti di medicina generale in Lombardia, Toscana e Calabria, che sono stati sottoposti a una procedura di screening e a una successiva conferma clinica per la presenza dell’aritmia – spiega Di Carlo -. I risultati indicano che, globalmente, il 69% dei pazienti con fibrillazione atriale assumeva terapia anticoagulante, in percentuali significativamente diverse nei vari sottotipi: il 91% dei pazienti con la forma permanente, l’85% con la persistente e solo il 43% con la parossistica. A questi ultimi venivano spesso prescritti farmaci antiaggreganti piastrinici, molto meno efficaci nella prevenzione dell’ictus, e nel 17% dei casi nessun trattamento antitrombotico”. (Agonb) Cdm 13:00