Roma, 23 luglio 2022 (Agonb) – Per il morbo di Alzheimer – che colpisce attualmente 50 milioni di persone nel mondo – esiste un’unica terapia approvata negli Stati Uniti (ma non altrove) e le controversie che circondano sia il suo bersaglio, l’amiloide, sia la sua efficacia, ne limitano seriamente l’uso.
In una valutazione aggiornata pubblicata sulla rivista PLOS Biology, Christian Haass del Centro tedesco per le malattie neurodegenerative di Monaco e Dennis Selkoe della Harvard Medical School, che hanno lavorato a lungo per decifrare le basi molecolari del morbo, cercano di rispondere al motivo per cui il progresso terapeutico è stato così limitato. Gli autori hanno esaminato gli ampi dati biologici che supportano un ruolo fondamentale per le alterazioni della proteina beta amiloide che iniziano circa due decenni prima che i sintomi siano evidenti. Hanno esaminato anche le domande sui meccanismi alternativi oltre all’amiloide e hanno ipotizzato che la funzione microgliale (infiammatoria) anormale sia parte integrante della cascata amiloide. La revisione analizza anche la relazione chiave tra l’accumulo di amiloide e l’altra lesione che definisce il morbo, i grovigli di tau: il primo porta alla diffusione del secondo nel cervello. Gli autori hanno quindi esaminato i risultati degli studi clinici di quattro distinti anticorpi monoclonali che hanno dimostrato di eliminare in modo robusto le placche amiloidi dal cervello; i potenziali benefici clinici di questi stanno appena iniziando a venire a fuoco.
È importante sottolineare che gli autori descrivono in dettaglio alcune delle ragioni specifiche per cui i precedenti approcci anti-amiloidi non hanno funzionato, sottolineando che nessuno di questi ha dimostrato di abbassare l’amiloide. Queste e altre recenti intuizioni sulla complessa patobiologia della malattia hanno posto le basi per quello che probabilmente sarà un flusso critico di nuovi dati di sperimentazione di Fase 3 nei prossimi mesi. (Agonb) Cdm 10:00.