Roma, 1° agosto 2022 (Agonb) – Studi osservazionali hanno suggerito un legame tra l’assunzione inferiore o maggiore di determinati alimenti e il rischio di demenza ma finora la ricerca clinica non ha trovato prove convincenti.
Per comprendere questa discrepanza un team di ricercatori della Keck School of Medicine dell’University of Southern California ha identificato – in uno studio pubblicato su The Lancet Healthy Longevity – i principali limiti agli studi esistenti che influiscono sul modo in cui l’alimentazione influisce sul cervello e offerto una serie di raccomandazioni per guidare e migliorare la ricerca futura.
“Molti studi non hanno scoperto che far mangiare sano o fare esercizio si traduce in benefici nei modi che ci si aspetta dalla ricerca epidemiologica – ha affermato Hussein Yassine, autore principale -. Ciò significa che non esiste una connessione causale o che questi studi non sono stati progettati correttamente”. Il gruppo sottolinea che l’utilizzo di biomarcatori anziché test cognitivi, lo strumento più comunemente utilizzato per analizzare il successo di un intervento, può portare a risultati immediati più significativi che possono guidare interventi più lunghi che mirano ai risultati clinici. La tecnologia, come l’imaging cerebrale, può essere estremamente efficace nel tracciare i cambiamenti nel cervello nel tempo.
Allo stesso modo, viene sottolineato che il test di campioni di sangue o feci per determinati biomarcatori, come l’assunzione non ottimale di un nutriente specifico, può anche essere utilizzato sia per selezionare i partecipanti migliori sia per aiutare a determinare se i partecipanti allo studio stiano rispondendo all’intervento in studio. (Agonb) Cdm 12:00.