Roma, 15 novembre 2022 (Agonb) – Esiste una connessione tra solitudine e memoria, in particolare tra solitudine e capacità dell’uomo di riconoscere volti già visti: è quanto emerso da uno studio internazionale condotto dal Dipartimento di Psicologia della Sapienza in collaborazione con la britannica Bournmouth University. La ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, si basa sul presupposto che l’essere umano ha una forte necessità di connessioni sociali: così i ricercatori hanno investigato in che misura il numero di contatti sociali e la solitudine, riportata da giovani studenti, influenzino la capacità di riconoscere volti di coetanei e volti di persone anziane sconosciuti, ma incontrati precedentemente. In psicologia questo effetto è chiamato “Own Age Bias” e consiste nel vantaggio del cervello umano di riconoscere i volti di persone coetanee. Come spiegato da Anna Pecchinenda, ricercatrice del team della Sapienza, i ricercatori si sono chiesti se la solitudine potesse potenziare il riconoscimento di volti felici che rappresentano segnali di affiliazione sociale, o quello di volti arrabbiati che rappresentano segnali di minaccia sociale, rispetto al riconoscimento di volti neutri di persone della propria età. Quello che hanno riscontrato è che gli studenti con bassi livelli di solitudine mostrano un riconoscimento superiore rispetto ai colleghi “soli”, per i volti sorridenti di coetanei precedentemente visti. In sostanza, hanno concluso che la solitudine influenza la capacità di riconoscere persone a noi non familiari, che potrebbero essere importanti per stabilire connessioni sociali, e suggerisce un possibile fenomeno di perpetuazione della solitudine. (Agonb) Cdm 9:00