Roma, 30 novembre 2022 (AgOnb) – Le malattie cardiovascolari rappresentano una delle principali cause di morte al mondo. Oggi, la speranza di riparare il cuore dopo un infarto potrebbe diventare realtà grazie ad una scoperta dei ricercatori dell’Università di Bologna che hanno identificato un ormone chiave nella rigenerazione dei tessuti cardiaci.
Durante un infarto miocardico, il flusso sanguigno che trasporta il sangue al cuore si interrompe per un’occlusione transitoria o completa dei vasi coronarici.
Uno dei fattori determinanti nelle sue conseguenze fatali è la mancata rigenerazione delle cellule del cuore che morendo, compromettono irreparabilmente la capacità vitale di pompare il sangue.
Una nuova strada all’incapacità rigenerativa del cuore si è aperta con lo studio internazionale coordinato dall’Università di Bologna e pubblicato sulla rivista Nature Cardiovascular Research.
Gli scienziati, guidati dal dottor Gabriele D’Uva, ricercatore e docente di biologia molecolare presso l’ateneo bolognese si sono concentrati su una classe di ormoni, i glucocorticoidi, interrogandosi sull’attività di rigenerazione delle cellule del cuore. «La loro inibizione ha mostrato esiti promettenti nella riparazione del tessuto cardiaco danneggiato» afferma il coordinatore. Per comprendere le novità dello studio occorre conoscere dall’interno il meccanismo di riproduzione delle cellule del corpo umano e differenziare il processo rigenerativo da quello riparativo.
I tessuti e gli organi del corpo umano come la pelle, l’epitelio intestinale o il sangue sono caratterizzati da un elevato rinnovamento cellulare su base giornaliera o settimanale. Il cuore, diversamente, ha una capacità di rinnovo cellulare estremamente bassa. Il tasso di rinnovamento delle cellule vecchie con quelle nuove infatti è minimo ed insufficiente a garantirne la rigenerazione in caso di infarto miocardico. Da poco più di un decennio si sa che «il rinnovamento cellulare cardiaco in fase adulta dell’uomo è di solo 1% all’anno e decresce con l’età, a 75 anni si giunge allo 0,3% annuo» spiega il ricercatore. Ciò significa che «un individuo adulto o anziano avrà oltre la metà delle cellule del cuore che aveva alla nascita». Il cuore, nei primi momenti di vita, possiede una robusta capacità rigenerativa, proprio perché le cellule muscolari che lo compongono sono ancora in attiva divisione per generare l’organo. Successivamente, per far fronte ai cambiamenti del corpo e quindi supportare nuove funzioni di cui ha bisogno, la capacità si perde rapidamente. Aumenta certamente la sua efficienza, le cellule diventano mature e forti per contrarsi più efficacemente, ma smettono di proliferare perdendo quindi la capacità rigenerativa. Se in fase adulta «il cuore subisce un trauma come nel caso dell’infarto, il danno sarà permanente». Come afferma D’Uva, l’incapacità rigenerativa potrebbe essere dovuta «a molteplici fattori ed al fatto che il cuore è un organo che deve essere sempre efficiente è non può permettersi di fermarsi mai». La svolta oggi potrebbe rivelarsi nell’identificazione di una classe di ormoni fisiologici regolatori della capacità proliferativa delle cellule del cuore. Il gruppo di ricerca, infatti, ha ipotizzato l’importanza del ruolo dei glucocorticoidi nella rigenerazione del muscolo cardiaco.
La suddetta classe di ormoni, comprende sostanze note come il cortisolo, il maggior ormone dello stress, così come i suoi derivati, principi attivi con azione antinfiammatoria. È possibile analizzare il ruolo degli ormoni studiati partendo da alcuni assunti e informazioni già note nel funzionamento dei polmoni, annota il docente: «nel periodo immediatamente prima, il cortisolo aiuta a far maturare le cellule dei polmoni in modo da permettere di respirare nel momento in cui si nasce». L’ipotesi è quella di assimilare a questo il meccanismo del cuore per comprendere se il processo di maturazione del tessuto cardiaco sia anch’esso dipendente dalla stessa famiglia di ormoni. «Abbiamo identificato che i glucocorticoidi aiutano le cellule del cuore a maturare a discapito della loro capacità di proliferare», precisa il coordinatore dello studio, di fatto quando una cellula si specializza ulteriormente nella sua funzione perderà la sua capacità di proliferare. Il team di Bologna, dopo questa evidenza, ha provato a “bloccare” in maniera selettiva il recettore degli ormoni tramite delezione; si è dimostrato che senza il recettore attivato, il cuore matura di meno e concludono «gli rimane una capacità maggiore di riattivare il programma proliferativo e rigenerativo specialmente in seguito ad un danno».
Attraverso la somministrazione di inibitori dell’ormone (con farmaco antagonista) si facilita la riattivazione della proliferazione delle cellule muscolari cardiache e dunque, usando le parole dell’intervistato «si può stimolare e promuovere un processo seppur parziale di rigenerazione del cuore».
Queste ipotesi di rinnovamento cellulare sono possibili grazie a sofisticate tecniche di biologia molecolare applicate, per il momento, sugli animali. Ciononostante rappresentano un importante avanzamento per la ricerca e per trovare presto una cura a milioni di pazienti in tutto il mondo.
Un grande passo in avanti verso il prossimo obiettivo, testare questa strategia in trial clinici ed eventualmente combinarla con approcci medici che puntino a rigenerare il cuore. Se, domani, la modulazione farmacologica risultasse efficace sull’uomo, si potrà trovare una reale soluzione terapeutica all’infarto. (AgOnb) Anna Lavinia 9:00