Laboratori e liste d’attesa

Pubblichiamo, in anteprima, l’editoriale del numero di maggio del Giornale dei Biologi, a firma del presidente della FNOB.

 

di Vincenzo D’Anna*

 

Non so quanti iscritti abbiano avuto modo di leggere i miei interventi pubblicati sul “Quotidiano Sanità“, il portale specializzato che tratta le problematiche del sistema sanitario italiano. Sembra (il condizionale è d’obbligo) che proprio in seguito al primo di questi miei “scritti”, legato alle cause generatrici delle ataviche difficoltà di accesso – in tempi utili – alle prestazioni ambulatoriali e diagnostiche, il Ministro della Salute Orazio Schillaci abbia precisato che l’intervento ministeriale non avrebbe tagliato le prestazioni gratuite destinate all’utenza, né ridotto (come pure si ipotizzava) le ricette ai medici di medicina generale per evitare prescrizioni ridondanti ed inappropriate.

Da qui una mia seconda missiva, sempre indirizzata al “QS”, nella quale, prendendo atto con soddisfazione delle intenzioni dell’esponente del governo, mi permettevo di suggerire talune proposte all’esecutivo. Proposte che poi ho ritrovato, con altrettanta soddisfazione, previste nella bozza di Decreto resa nota dagli organi di stampa e che a breve sarà sottoposta all’esame del Consiglio dei Ministri.

Di cosa stiamo parlando? Innanzitutto della decisione di aumentare i tetti di spesa che tuttora gravano sulle strutture ambulatoriali e diagnostiche accreditate a gestione privata, che non hanno liste di attesa ma che pure ben potrebbero accorciare quelle presenti nel comparto a gestione pubblico-statale. In fondo, parliamoci chiaro: la scelta di contingentare i volumi di prestazioni contrattualizzati con il settore pubblico a gestione privata significa sviare forzosamente l’utenza verso le strutture pubbliche statali e quindi appesantire ulteriormente i tempi di attesa!!

Se il servizio pubblico si compone e si avvale anche delle strutture accreditate private scegliere di aumentare le disponibilità economiche di queste ultime significa sollevare di una parte del carico di lavoro le strutture statali e, di conseguenza, accorciare le liste di attesa. I tetti, però, sono rimasti. Tuttavia risulteranno implementati attraverso una modifica della spending review (la legge che limita la spesa nel privato), ossia l’aumento, in prospettiva futura, fino al 5% dell’attuale limite massimo. Una boccata di ossigeno che non risolverà del tutto il problema ma che rappresenta comunque un’inversione di tendenza significativa sotto il profilo di una maggiore considerazione per il comparto accreditato.

Parimenti importante un’altra novità che pure è stata inserita nel Decreto in itinere: quella di consentire alle strutture di laboratorio di poter accedere al servizio di Telemedicina così come previsto per la Farmacia dei Servizi. Un’opportunità che consentirà anche ai presidi sanitari di laboratorio di poter svolgere altre funzioni a vantaggio dell’utenza, vedendosele pure retribuite proprio come accade con le farmacie. Un piccolo volano economico oltre che un richiamo fortemente attrattivo nei confronti dell’utenza.

Avere la possibilità di prenotare servizi sanitari rivolgendosi alle strutture di laboratorio rappresenta, infatti, un significativo riconoscimento di ciò che la rete territoriale formata da tali strutture è in grado di fornire al SSN. Per completare questa funzione occorrerà un ulteriore passo in avanti che leghi la rete dei laboratori alle nascenti case di comunità entro le quali opereranno le figure del medico e del pediatra di libera scelta oltre che gli specialisti ambulatoriali. Se ne deduce che restare fuori ed estranei da questa nuova configurazione organizzativa potrebbe comportare un grave handicap per le strutture che eseguono esami di laboratorio.

L’altra novità di cui si parla nel Decreto, fortemente caldeggiata dalle associazioni di categoria dei piccoli e medi laboratori, è l’ipotesi di modifica della riorganizzazione della rete dei laboratori stessi. In verità nel Centro Sud, a differenza del Nord, tale riorganizzazione non ha mai trovato attuazione a diciotto anni dall’entrata in vigore di una legge che risale all’oramai lontano 2006. Stiamo parlando di una norma che prevede il rispetto di una soglia di efficienza economica pari a 200.000 prestazioni annue (pubblico e privato). La norma, peraltro, è stata inserita anche come requisito da rispettare per l’accreditamento delle strutture ossia la possibilità di sottoporle a contratto col SSN.

Ora, al di là delle buone intenzioni del Ministero, sembra chiaro che occorrerà modificare più di una legge, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni ed il Parlamento. Un argomento, quest’ultimo, che ha dato corso a non poche polemiche ed a tentativi, da parte di talune associazioni nonché di soggetti predisposti al protagonismo politico nei propri territori, a polemizzare con gli Ordini Professionali invocandone la solidarietà. Una richiesta demagogica e spesso dettata da interessi di parte, che non tiene conto che chi dirige un Ente pubblico non può fare attività sindacale né contravvenire alla legge, ma, al massimo, può solo tentare di “modificarla”.

Ciò detto, lontano da questi tentativi strumentali, resta ancora inevaso il problema delle basse tariffe di remunerazione. Un’autentica mazzata per il comparto. Sì, perché in questo caso ci troviamo di fronte al classico asino che casca sulla possibilità che, a fronte di bassi volumi di prestazioni erogati ed a tariffe improntate al risparmio, si possano poi mantenere intatti i requisiti della struttura, pagare stipendi e contributi al personale (soprattutto ai biologi che spesso sono “sottoposti”), soddisfare l’erario sui guadagni ed aggiornare il parco tecnologico ed i controlli di qualità. Insomma di garantire la qualità delle prestazioni che il committente, ossia lo Stato, ordina alle strutture. Il committente può certo cambiare quei requisiti a patto però di non abbassare le tariffe.

Insomma, l’antifona è chiara: vi lasciamo operare ma accontentatevi di quello che vi offriamo!! Questa logica di svendita del comparto per salvare la propria azienda viene lasciata a quelle retroguardie del comparto che, prima o poi, finiranno nelle fauci dei grandi trust calati in Italia. Di tutto questo ovviamente nessuno parla, mentre tutti di tutto sparlano. Sembra che, dopo decenni, in quel comparto, la parola d’ordine sia ancora : “arrangiamoci!”.

 

*presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi (FNOB)