Esami in farmacia: nell’accordo nessuna novità sostanziale, perplessità sul concetto di “referto” che potrebbe sfociare nello sconfinamento delle competenze

Roma, 20 marzo 2025 –  È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 65 del19 marzo 2025 l’intesa approvata dalla Conferenza Stato-Regioni sull’ACN per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private stipulato ai sensi dell’art. 8, comma 2, del D.lgs. n. 502/1992 tra Federfarma, Assofarm e SISAC del 6 marzo 2025.
Nell’Accordo, che – va detto – a una lettura più attenta non apporta affatto le sostanziali novità sbandierate in tema di esami diagnostici eseguibili dai farmacisti, vi è un passaggio che è però ambiguo e che, se non correttamente interpretato, potrebbe condurre a un inaccettabile sconfinamento delle competenze dei farmacisti.
L’allegato 4 all’accordo, infatti, all’art. 3, comma 3, prevede che il farmacista, prima dell’esecuzione del test diagnostico che preveda il prelievo di sangue capillare e/o il prelevamento del campione biologico a livello nasale, salivare o orofaringeo, “… fornisce informazioni adeguate all’utente, anche in forma orale, sulla tipologia di test da somministrare, su eventuali rischi e sul significato dell’esito positivo o negativo, consegnando referto o attestato di esito scritto all’assistito, anche in formato digitale, debitamente firmato su carta intestata della farmacia”.
Bisogna intendersi sul concetto di “referto”.
La giurisprudenza, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di un accordo regionale che prevedeva la “refertazione” di esami su sangue capillare, ha chiarito che questi ultimi sono indicati nel monitoraggio di condizioni patologiche (tra cui la glicemia) e i test vengono effettuati per mezzo di strisce reattive, senza coinvolgere il laboratorio, fornendo una rapida misurazione, laddove il prelievo di sangue venoso è una procedura attraverso cui si raccoglie un campione di sangue, al fine di indagare lo stato di salute, il cui esame è effettuato in laboratorio. Per i farmacisti, tuttavia, resta fermo il divieto di “attività di prescrizione e diagnosi, nonché il prelievo di sangue o di plasma mediante siringhe o dispositivi equivalenti”, ai sensi dell’art. 1, co. 2, lett. e), del d.lgs. n. 153/2009 e dell’espressa previsione dell’art. 1, co. 2, del D.M. 16/12/2010 (“È vietato l’utilizzo di apparecchiature che prevedano attività di prelievo di sangue o di plasma mediante siringhe o dispositivi equivalenti, restando in ogni caso esclusa l’attività di prescrizione e diagnosi”). La possibilità di effettuare il prelievo di sangue capillare si lega alla raccolta del dato sanitario, consentendo al farmacista il prelievo di sangue capillare, con un dispositivo che emette lo scontrino con i valori riportati.
In questo limitato senso deve intendersi la “refertazione”, consistente nella certificazione dei risultati del lavoro svolto e, implicitamente, la corretta applicazione delle procedure, la buona prassi di laboratorio, i controlli di qualità interno ed esterno, la scelta dei kit, la manutenzione ordinaria della strumentazione etc., assumendo così integralmente la responsabilità di fronte all’utente della corretta esecuzione dell’analisi.
In definitiva, qualunque sconfinamento di campo da parte del farmacista sarebbe non solo illegittimo ma addirittura illecito, poiché si risolverebbe nello svolgimento di attività che formano oggetto delle professioni di biologo o di chimico.
A tale ultimo riguardo, non pare superfluo ricordare che l’art. 20 dell’ACN opera un richiamo espresso in tema di responsabilità del farmacista e di obblighi informativi, rispettivamente, agli artt. 5 e 6 del d.m. Salute 16 dicembre 2010.
La prima norma lega la responsabilità del farmacista, in caso di inesattezza dei risultati, alle cattive installazione e manutenzione dell’apparecchiatura, il che sta a significare che egli non può interpretare l’esito del quesito diagnostico e non può, quindi, consegnare un “referto” propriamente detto.
La seconda norma impone al farmacista:
– di esporre nei suoi locali, in modo chiaro e leggibile, l’indicazione delle tipologie di prestazioni analitiche disponibili agli utenti, con la precisazione che gli avvisi “non possono contenere dizioni che richiamino espressamente o indirettamente esami di laboratorio non eseguibili presso le farmacie”;
– di indicare all’utente, prima dell’esecuzione dell’esame, la differenza tra un test di prima istanza ed un’analisi svolta normalmente in un laboratorio autorizzato;
– di informare il cittadino utente che i risultati dei test devono essere verificati con il medico prescrittore, che indicherà le opportune iniziative terapeutiche.

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