Roma, 11 dicembre 2024 (Agenbio) – Gli scienziati del Centro Nacional de Investigaciones Cardiovasculares (CNIC), hanno pubblicato su Nature Communications uno studio che rivela il ruolo chiave della proteina caveolina-1 (Cav-1) nel permettere alle cellule adipose di aumentare il proprio volume in modo sicuro per immagazzinare energia. Guidati da Miguel Angel del Pozo Barriuso, hanno identificato un meccanismo essenziale nelle cellule adipose (adipociti) che evita danni ai tessuti e protegge il corpo dagli effetti tossici dell’accumulo di molecole di grasso. Gli adipociti possono aumentare di volume per immagazzinare energia sotto forma di grasso, impedendo ai lipidi in eccesso di accumularsi in organi come il fegato o nella parete dei vasi sanguigni, dove potrebbero causare danni irreparabili. I ricercatori hanno analizzato come queste cellule si adattano per resistere allo stress meccanico, considerando le caveole, piccole tasche nella membrana cellulare che agiscono come sensori e ammortizzatori di queste sollecitazioni. “Quando l’adipocita accumula grasso – afferma Maria Aboy Pardal, altra firma dell’articolo – le caveole si appiattiscono, rilasciando una riserva di membrana che consente alla cellula di ingrandirsi senza rompersi. Se le riserve di grasso diminuiscono, queste si raggruppano per ridurre la membrana in eccesso e ripristinare la stabilità cellulare”. “I componenti molecolari di queste strutture – aggiunge del Pozo Barriuso – viaggiano verso altri compartimenti cellulari, trasmettendo segnali che regolano l’attività metabolica per adattarla al livello di riserve energetiche. Questa capacità di comunicazione interna rende le caveole elementi chiave per la sopravvivenza delle cellule”. Se queste strutture non svolgono correttamente le proprie funzioni, gli adipociti diventano più rigidi, vulnerabili e meno efficienti nell’immagazzinare energia. “Il risultato è una reazione infiammatoria – sottolinea Aboy Pardal – che compromette la salute metabolica del corpo. Questo fenomeno è legato a condizioni come la lipodistrofia, in cui il corpo non riesce a immagazzinare grasso, portando a gravi alterazioni metaboliche e cardiovascolari”. “Questi risultati – conclude Del Pozo Barriuso – restituiscono una migliore comprensione di come il tessuto adiposo risponda alle forze meccaniche associate all’eccesso energetico. Nel contesto dell’obesità e della sindrome metabolica, questo meccanismo protettivo è essenziale per ridurre al minimo i danni all’organismo”. (Agenbio) Mmo 09.00