Ogni anno in media arrivano in mare “tra i 5 e i 13 milioni di tonnellate di plastica“. Di questo passo, “nel 2050 la quantità di plastica supererà quella dei pesci”. L’ allarme è stato lanciato nel corso del primo Forum delle Comunità “Laudato si“, organizzato ad Amatrice dalla diocesi di Rieti e da Slow Food.
“Nel 2010 otto milioni di tonnellate di plastica hanno raggiunto gli oceani. In media ogni anno arrivano tra i 5 e i 13 milioni di tonnellate. I prodotti plastici compongono tra il 60% e l’80% dei rifiuti totali marini. Stimando il peso, a questo ritmo, nel 2050 la quantità di plastica supererà quella dei pesci”, ha osservato Silvio Greco, docente di “Sostenibilità Ambientale” all’università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenza.
Il biologo, come riferisce il Sir, ha osservato che “la produzione globale di plastiche è passata da 2 milioni di tonnellate del 1950 a più di 400 milioni di tonnellate del 2015. Negli ultimi tredici anni si è prodotta la metà di tutta la plastica dal 1950 a oggi. La produzione di plastica totale fino a oggi ammonta a 8,3 miliardi di tonnellate di cui 6,3 sono diventati spazzatura: il 9% della plastica è stata riciclata; il 12% incenerita; il 79% accumulata nelle discariche oppure dispersa nell’ambiente. L’origine della plastica in mare è da ricercarsi nell’uso ricreativo delle coste, nello scarico di acque reflue, nelle discariche vicino alle coste, fiumi (rifiuti industriali e domestici, materiali da imballaggio, bottiglie di plastica e altri contenitori di ogni tipo)”.
A queste cause ne vanno aggiunte altre, ha detto il biologo, come “le navi mercantili, linee commerciali, diporto, pesca, le flotte militari, impianti offshore come piattaforme e siti di acquacoltura. Sono facilmente identificabili: reti, lenze, palangari, cassette di pesce”. Che fare? “Diminuire la plastica monouso è inutile – ha spiegato -. È piuttosto sorprendente come la nostra società abbia raggiunto il punto in cui lo sforzo necessario per estrarre petrolio dal suolo, spedirlo in una raffineria, trasformarlo in plastica, modellarlo, trasportarlo in un negozio, comprarlo e portarlo a casa è considerato uno sforzo minore rispetto a quello che serve per lavare il cucchiaio alla fine del suo utilizzo”.