Roma, 28 ottobre 2021 (Agonb) – Le malattie autoimmuni – quelle in cui il sistema immunitario danneggia il corpo – stanno aumentando, ma si sa ancora poco su cosa le scateni. Ora, con l’aiuto di una nuova tecnica, i ricercatori dell’Università di Aarhus in Danimarca sono più vicini a una loro comprensione: sono infatti riusciti a identificare le particelle nel sangue che determinano lo sviluppo di queste patologie. Come spiegato in un paper pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, i pazienti con la malattia autoimmune Lupus Eritematoso Sistemico (chiamato anche SLE o Lupus, potenzialmente pericoloso per la vita), formano un tipo precedentemente sconosciuto di particella proteica nel sangue. Una particella così grande che si fa strada nella parete vascolare, dove provoca danni.
“Possiamo vedere che i pazienti hanno una proporzione elevata di grandi particelle nel sangue. A causa delle loro dimensioni, sono distribuite proprio sul bordo del vaso sanguigno, dove possono potenzialmente finire nella parete del vaso e creare infiammazione” spiega Kristian Juul-Madsen del Dipartimento di Biomedicina. La nuova tecnica consente di seguire particelle proteiche specifiche nel campione di sangue del paziente e misurarne le dimensioni in nanometri.
“Colleghiamo le particelle proteiche con piccole particelle metalliche, che emettono una forte fluorescenza quando illuminate da un laser. Possiamo seguire il processo su uno schermo e questo ci ha portato a scoprire che i pazienti con Lupus hanno una concentrazione molto più alta di particelle molto grandi” spiega Juul-Madsen che, insieme al professor Thomas Vorup-Jensen, ha brevettato la tecnologia, chiamata NIP-Q (Nanoscale Immunoactive Protein Quantification).
La diagnosi precoce è importante perché il trattamento può ridurre i sintomi e prevenire danni agli organi, pertanto, è estremamente interessante anche in un contesto clinico per i ricercatori poter prelevare un campione di sangue e avere una risposta in pochi minuti. La nuova tecnica dovrebbe essere disponibile come strumento diagnostico nella clinica dell’ospedale universitario di Aarhus entro 5-10 anni. (Agonb) Cdm 13:00.